L’Italia degli 80 euro, del progetto Giovani sì o del sistema di pagamento in voucher, dimentica spesso una regolamentazione, contenuta nel testo unico delle imposte di redditi, che ostacola l’inserimento dei giovani nel mondo del lavoro, incentiva l’occupazione in nero e favorisce l’evasione.
La norma in analisi riguarda i familiari a carico. Ma cosa significa essere familiare a carico e quali benefici comporta? Si tratta di soggetti che hanno diritto a detrazioni d’imposta e che consentono di portare in detrazione oneri sostenuti per loro conto (ad esempio le spese mediche o scolastiche). Sono familiari stretti, coniugi o figli, senza limiti di età, conviventi o meno. Il presupposto essenziale per essere considerati fiscalmente a carico è avere un reddito uguale o inferiore a 2.840,51 euro.
Da dove arriva questa cifra? Il decreto del Presidente della Repubblica del 22 dicembre 1986 n.917, all’articolo 12, stabilisce in 5 milioni e 500 mila lire, il reddito complessivo massimo per le persone a carico di famiglia. Una soglia che era già prevista dal d.p.r. 600/1973. Oggi, quella cifra, è uno scoglio invalicabile per molti giovani.
Dal 2001, infatti, con la matematica conversione in euro, per non perdere lo status di figlio a carico, un ragazzo non deve superare il reddito (annuale) di 2.840,51 euro. Inutile sottolineare come, con una tale cifra, difficilmente si possa sopravvivere per dodici mesi, né, al contempo, si possa essere definiti indipendenti. Altrettanto facile è immaginare come questa soglia possa essere facilmente superata. Nel caso di uno studente iscritto all’università, basterebbe un part-time portato avanti durante gli studi, o un lavoretto durante i mesi della stagione estiva.
Ma non si parla solo di lavoro. Anche i meriti scolastici, le borse di studio, sono diventati strumento di superamento del reddito. Con la legge di stabilità, alcune borse di studio sono state assimilate ai redditi da lavoro dipendente. Non tutti i riconoscimenti accademici rientrano inoltre nella esenzione Irpef.
Un sistema complesso e fluido, nel quale si rischia di essere risucchiati. Non sono poche le famiglie che si sono trovate a dover restituire i soldi scaricati, con le relative sanzioni. E il problema, in questo caso, sembra essere soprattutto l’ignoranza della norma. Solo dal 2015, con il 730 precompilato, le comunicazioni tra CAF e cittadini risultano più chiare e evitano quantomeno alle famiglie di trovare spiacevoli sorprese di fine anno.
Una proposta di legge sul modello anglosassone del “child benefit” esiste da più di due anni in Parlamento. Un contributo universalistico fino ai 26 anni e per redditi fino a 50.000 euro, che vada a decrescere dal 18esimo anno di età. Una misura unica che assorba i tentativi di incentivo, dagli 80 euro al bonus bebè, in un Paese dove la crescita demografica è vicina allo zero. Una misura che però, non affronta uno dei più grandi problemi dell’Italia, la disoccupazione e la precarietà della classe dei giovani-adulti. Generazioni che si dividono sempre più tra studio e lavoro e convivono ogni giorno col timore di non avere mai una pensione. Nell’anno accademico 2013/2014, gli studenti fuori sede in Italia erano 248.351 (dati Ministero dell’Istruzione). Molti di loro vivono con 500 euro al mese, grazie a lavoretti in nero, o pagati in voucher, che hanno il terrore dal lasciare. Anche ottenere la disoccupazione, unico mezzo che avrebbero per mantenersi, è ormai diventato un terno al lotto. Un sistema che è fallace da qualsiasi lato lo si osservi.
Un documento del Forum delle associazioni familiari, datato 21 giugno 2016, che analizza il bonus degli 80 euro, si sofferma sul problema:
“Il limite di reddito della persona ritenuta a carico deve essere aggiornato ai valori attuali (è fermo ai 5,5 milioni di lire del 1986). Dagli attuali 2.840,51 € (5.500.000 lire) fermi dal d.p.r. 917/86, a 6.480,06 €, per effetto della rivalutazione ai fini Istat intervenuta per il periodo 1986 – 2012”.
Nel 1986 lo stipendio medio di un operaio era di circa 600.000 lire, soldi con i quali viveva un’intera famiglia. Sarebbe impensabile credere che ora, con 300 euro, si possa fare lo stesso. Proprio l’ISTAT mette a disposizione uno specifico servizio per calcolare online la variazione percentuale nel costo della vita . Dal gennaio 1986 a quello 2016, il risultato è un aumento del 137,8%.