Da Donald Trump a Fedez, dalla politica al gossip. Le fake news sono diventate un problema a tal punto da concentrare l’attenzione di giornalisti, comunicatori, lettori e avvocati. Ciò che è accaduto a livello comunicativo durante le elezioni americane ha aperto un buco nero nella definizione delle capacità comunicative e giornalistiche dell’informazione mainstream, e dunque in quella online: un solco tale da mettere in discussione ogni principio che, fino a pochi mesi fa, veniva considerato valido.
Lo scorso dicembre, la proposta di legge sulla regolamentazione della fake news dell’ex Cinque Stelle Adele Gambaro (http://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/17/DDLPRES/1006504/index.html) è arrivata al Consiglio d’Europa e pochi giorni fa è stata presentata al Senato. Provvedimenti analoghi sono discussi e saranno obbligatori in tutta Europa, per fronteggiare un problema informativo che si diffonde alla velocità di un like.
“Weallhaveourdefinition of fake news”. Parola del senatore del Colorado Ray Scott, che ha accusato di diffamazione il DailySentinel di Grand Junction per una notizia pubblicata sul suo conto. Il problema di cui parla il senatore è essenziale nel dibattito sulla regolamentazione dell’informazione online. Certo fake significa falso, ma esiste una definizione univoca di fake news?
La BBC classifica le fake news in due categorie. Notizie false, diffuse volontariamente e consapevolmente per spingere le persone a visitare il sito web o notizie con un fondo di verità, ma non completamente accurate. Da una parte il caso dei quotidiani fake che si trovano sui social (e la diffusione delle notizie pubblicate nella convinzione che siano veritiere), dall’altra l’accuratezza della notizia. Ciò che la legge Gambaro cerca di fare è equiparare le regole dell’informazione sul web a quelle della carta stampata. Trasparenza, verifica delle fonti, responsabilità. Per chi non le rispetta sono previste pene severe, con ammende fino ai 5.000 euro, per “la pubblicazione e la diffusione di notizie false, esagerate o tendenziose”. Entra anche in gioco, come per i quotidiani, l’obbligo di rettifica, qualora richiesta dai “soggetti di cui siano pubblicate immagini o ai quali siano stati attribuiti atti o pensieri o affermazioni da essi ritenuti lesivi della loro dignità o contrari a verità”. Un provvedimento necessario, anche per la velocissima amplificazione delle notizie sul web che, se false, verranno eliminate entro due giorni dalla richiesta. È evidente che spesso, quando parliamo di quotidiani online, ci troviamo di fronte a operatori non necessariamente professionisti. Uno dei punti cruciali del ddl S2688, prevede quindi che l’amministratore della pagina o sito web comunichi le proprie informazioni personali al Tribunale territoriale competente.
Ma la definizione di fake news è talmente instabile da rischiare di essere completamente ribaltata, come dimostra ciò che sta accadendo negli Stati Uniti. L’elezione del presidente Donald Trump ha aperto un dibattito sul ruolo dei media, accusati da più parti e onesti nell’ammettere come la battaglia contro il futuro presidente e i suoi metodi comunicativi abbia fatto mettere da parte l’attenzione verso ciò che accadeva nel Paese che si avvicinava al voto. Scambio di ruoli perfettamente realizzato nelle dichiarazioni del magnate di pochi giorni fa, quando ha accusato la più autorevole stampa a stelle e strisce di diffondere notizie false solo per screditare la sua persona. Una mossa che, a parere di alcuni addetti ai lavori, mostra la rischiosità della materia. Stringere il cappio intorno alle fake news senza prima stabilire dei criteri oggettivi, rischia secondo alcuni di essere il metodo più comodo per governi autarchici e dittatoriali di eliminare una certa informazione. Timore espresso sulle pagine di Repubblica dagli avvocati Francesco Paolo Micozzi e Giovanni Battista Gallus. La Gambaro difende la legge assicurando che “non c’è nessun intento di censura”.
Il dibattito intorno all’informazione e alla comunicazione online è un punto centrale dello sviluppo democratico. Non a caso l’ultimo report dell’Ethical Journalism Network dedica un capitolo alle fake news e all’era della post-verità (http://ethicaljournalismnetwork.org/wp-content/uploads/2017/01/ejn-ethics-in-the-news.pdf).
Velocità esagerata di scrittura e diffusione, imprecisione nella verifica delle fonti e propaganda sono solo la punta dell’iceberg della mala informazione. E Facebook non è l’unico colpevole. Secondo il direttore del EJN, Aidan White, c’è però una novità essenziale nella presenza di attori come il social network di Mark Zuckenberg nel mondo dell’informazione. I social, Facebook specialmente, sono essi stessi editori. Censurano, eliminano o decidono di permettere la diffusione di notizie e immagini. Ma, a differenza di una redazione, nella quale persone formate e responsabili prendono queste decisioni, lo fanno sulla base di un algoritmo. Quello che l’EJN chiede a gran voce, è una responsabilizzazione di Google e Facebook, ma anche dei lettori. Fornisce così una piccola guida per proteggersi dalle notizie false: controllare le date, verificare il nome del sito, assicurarsi che ci sia una firma all’articolo, cercare la notizia su fonti più autorevoli e, infine, ricordarsi che esiste la satira. L’EyeWitness News, in Sud Africa, spiega come disinnescare una notizia falsa con una serie di precetti (http://ewn.co.za/2017/01/27/important-notice-how-to-spot-a-fake-news-story).
Semplici regole che possono evitare la diffusione di notizie false e imbarazzanti. Ma sia la legge Gambaro che il report dell’EJN, sottolineano come sia fondamentale costruire un percorso educativo verso l’informazione online, per creare operatori più responsabili e lettori più capaci. Le iniziative che propongono un contatto differente verso la comunicazione sul web non mancano, e si avvalgono di approcci che comprendono lentezza, educazione e coscienza del lavoro e del guadagno. Esempi come Slow News o l’iniziativa di Parole O’Stili, provano a costruire una relazione comunicativa diversa, fuori dalle logiche proprio del web (velocità, aggressività, superficialità) per offrire un metodo informativo e comunicativo totalmente diverso.
È essenziale poi fare ordine all’interno della materia. Distinguere satira e informazione, scindere guerriglia marketing e notizie false (esemplare il caso di “A cure for wellness”, il film della 20th Century Fox pubblicizzato attraverso siti fake che contengono fake news sul Presidente Trump), sono alcuni passi da compiere nel percorso di consapevolezza informativa che devono permettere di trattare la materia in ognuno dei suoi singoli aspetti. Insomma, la rivoluzione normativa dovrà essere accompagnata da una formativa, che, in alcuni Paesi è già in atto. ThinkBeforeYou Click (www.thinkB4Uclick.ie) è la campagna lanciata dall’agenzia governativa irlandese, il National Centre for Technology in Education, per educare i più giovani al confronto con l’informazione online, difendendosi dalle frodi e accrescendo la consapevolezza del web.