L’ampio studio del 2021 di Hakim el-Karoui e Benjamin Hodayé sui militanti europei, suggerisce due possibili scenari per il futuro dello jihadismo in Occidente: il primo, vede i veterani della jihad siriana e i loro futuri seguaci volgere il mirino principalmente verso l’Europa, piuttosto che su di una zona di guerra lontana. Non c’è niente di nuovo nel fatto che gli europei si siano recati altre volte –in passato- nelle zone di conflitto jihadista, ma è un fatto che siano andati per combattere in Siria e in Iraq, più numerosi che in tutte le altre insurrezioni jihadiste messe insieme. Non tutti sono tornati a casa, ma molti l’hanno fatto, lo stanno facendo e lo faranno in futuro. Le prove disponibili suggeriscono che solo una minoranza di combattenti stranieri rimpatriati attacca una volta rientrato a casa, ma questo non dovrebbe necessariamente essere motivo di compiacimento. Le statistiche da sole non tengono conto della costante trasformazione ideologica e dell’evoluzione dell’islamismo militante in Occidente.
E qui si arriva alla seconda prospettiva dello studio di Hakim el-Karoui e Benjamin Hodayé. Quella cioè, più inquietante, che vede la popolazione jihadista in Europa ricostituirsi in un movimento sociale separatista. Per lo meno, affermano gli studiosi, è possibile che una fazione di #salafiti-jihadisti europei prosegua nel sogno di un loro califfato, formando comunità chiuse e ostili a tutto ciò che considerano ignoranza e peccato nella società più ampia.
Hugo Micheron (ricercatore presso il dipartimento di Studi del Vicino Oriente dell’Università di Princeton), ha intervistato dozzine di jihadisti incarcerati alcuni dei quali, hanno accennato a un cambiamento di strategia che confermerebbe la seconda ipotesi dello studio di Hakim el-Karoui e Benjamin Hodayé. Invece di semplicemente #radicalizzare per promuovere attacchi, il loro scopo sarebbe piuttosto quello di arrivare a una totale omogeneizzazione del credo musulmano secondo la loro interpretazione (l’unico vero Islam). L’obiettivo, sarebbe quello di inserire un progetto salafi-jihadista nel cuore dell’Europa. Se questa corrente di pensiero dovesse diventare dominante, allora, come scrive Micheron, lo jihadismo diventerebbe una sfida sociale, intellettuale e politica “Prima ancora di imbracciare un Kalashnikov”.
Molti jihadisti credevano fosse stato raggiunto un punto di svolta con gli attacchi in Europa del 2015/17 e che tale spargimento di sangue avrebbe innescato il conflitto civile che desideravano nel continente, sovrastimando il loro sostegno all’interno delle comunità musulmane occidentali. Gli attacchi all’Occidente invece, hanno incrementato il bombardamento aereo del califfato in Siria e Iraq, accelerandone solo la fine. Come ogni gruppo o movimento terroristico, gli jihadisti imparano dai loro errori tattici e strategici e questo potrebbe spiegare perché –sino a ora- siano rimasti tranquilli. Potrebbe però rivelarsi un grave errore interpretare questa “tregua” come uno jihadismo finalmente in declino. La storia ci insegna che quando i terroristi sono rimasti silenziosi in passato, di solito stavano pianificando.
È passato un po’ di tempo da quando hanno inscenato un grande attacco all’Occidente, tuttavia, solo perché Isis Central non sta colpendo con omicidi di massa in Europa, non significa che non ci siano ancora persone che uccidono e vogliono uccidere in nome della jihad. Gli attacchi che avvengono ora, sono perpetrati da disadattati senza reali o importanti legami con cellule o reti formali. Attribuiamo quindi alla loro salute mentale questi attacchi e ci tranquillizziamo nel credere che questo sia tutto ciò che resta della jihad occidentale, rischiando di sottostimare la persistente minaccia jihadista. Inoltre, molti degli jihadisti e ideologi più impegnati d’Europa -quelli cioè con esperienza e connessioni reali- che erano imprigionati o ancora bloccati in Siria, stanno uscendo di prigione e altri usciranno presto e altri ancora torneranno dalla Siria. Secondo l’ultimo rapporto Europol (link allegato), nel 2021 nell’UE sono stati registrati 11 attacchi jihadisti e 260 arresti sono stati eseguiti a seguito d’indagini su reati di terrorismo jihadista.
Non c’è alcun presupposto che possa indurre a credere che il movimento jihadista, un movimento che esiste e si muove tra secoli di storia, possa crollare o diventare irrilevante e tutti gli indicatori, compresi i precedenti storici, lo confermano e non c’è motivo di credere che le pause debbano essere interpretate come una minaccia calante, eppure oggi l’attenzione sembra rivolta altrove. L’attenzione e la preoccupazione, invece, dovrebbero essere indirizzate su come il movimento jihadista si sta ricostituendo all’interno dei confini dei continenti (e, quindi, non solo in Europa).