“Mi sono già comprata la cassa per la sepoltura ma non voglio andare in Svizzera, voglio morire in Italia”. Inizia così uno dei tanti messaggi inviati negli ultimi due anni all’associazione Luca Coscioni per avere informazioni sull’eutanasia all’estero. Un report straziante, ricco di storie personali, aneddoti, vite e famiglie distrutte dalla malattia. Pazienti e familiari che chiedono aiuto, perché lo Stato li ha abbandonati. Solo per citare qualche numero, ogni anno in Italia sono 250mila i pazienti per i quali le cure e i protocolli medici non hanno più un’utilità clinica. Si tratta di pazienti che vivono l’ultima fase della loro vita e per i quali ci si può avvalere solo delle cure palliative. Una popolazione invisibile, come quella che in questi due anni ha contattato l’associazione Luca Coscioni per chiedere informazioni e aiuto.
La richiesta di queste persone è un grido d’allarme rivolto alla società e un appello alla politica affinché riconosca il diritto dell’individuo a vivere tutta la sua esistenza con dignità e rispetto, “fino alla fine”, come ripete sempre Mina Welby. Il “diario sul Fine Vita” dell’associazione Luca Coscioni è stato messo a disposizione di Ofcs Report in esclusiva, con l’impegno a rispettare l’anonimato delle persone contattate, ma anche a raccontare cosa c’è davvero dietro il testamento biologico, che in queste ore è in discussione al Senato, ma che potrebbe naufragare per l’impellente volontà della politica di anteporre la fine anticipata della legislatura all’approvazione di una norma attesa in Italia da oltre vent’anni.
Da marzo 2015 ad oggi sono oltre 300 i soggetti che hanno contattato l’associazione Luca Coscioni per avere informazioni sull’eutanasia all’estero. Di queste appena diciotto in forma non anonima, undici donne e sei uomini. Otto persone su dieci hanno cercato informazioni per sé, i restanti hanno contattato l’associazione per parenti o amici impossibilitati a chiamare a causa della malattia. Un servizio, quello offerto dalla campagna “Sos Eutanasia”, che, oltre a dare informazioni sulla sospensione delle terapie in Italia, aiuta a mettere in contatto i soggetti richiedenti con le strutture svizzere, previa verifica dei requisiti, fermo restando, precisano dall’Associazione “che saranno poi le strutture stesse a decidere sulla base della legislazione elvetica se consentire l’accesso alle pratiche eutanasiche”.
In questi anni, solo per citare i nomi più noti, l’associazione Luca Coscioni ha aiutato pubblicamente Piera Franchini, malata di tumore al fegato in fase terminale, Damiana Saba, malata di sclerosi multipla, Dominique Velati, malata di tumore al colon in fase terminale, Fabiano Antoniani (in arte Dj Fabo), cieco e tetraplegico a causa di un incidente stradale, Davide Trentini, malato di sclerosi multipla.
Oltre a loro tanti volti anonimi in cerca di aiuto. Come Sara, affetta da mielofibrosi, costretta a vivere con trasfusioni periodiche. “Da novembre ad oggi devo continuare con trasfusioni ogni quindici giorni. Ho fatto molti tentativi con i medici per farmi aiutare a morire, ma inutilmente. Mi sono rivolta a Exit, ma non voglio andare in Svizzera a morire, non voglio essere cremata. Vorrei morire in Italia. Mi sono già comprata la cassa per la sepoltura. Sto pensando anche al suicidio, ma ho paura di non riuscirci. Non mi fido delle persone e per questo ho contattato voi”.
Oppure la storia di una madre con cancro ai polmoni, salvata con la chemio ma “ridotta ad una larva dopo la radioterapia al cranio che le ha bruciato il cervello. Non muove più niente, il suo stato di coscienza è ridicolo. Riesce a pronunciare solo pochissime parole”, scrivono i familiari.
Dai racconti drammatici di chi lucidamente vuole porre fine al dolore emerge con forza il desiderio di una morte come atto di rispetto e di amore. “Ho 56 anni e da luglio 2013 sono affetto da Sla bulbare che mi ha portato nell’aprile 2014 alla tracheostomia. Vi scrivo per dirvi che anche il mio cervello si è stancato di questa non vita e che vorrei morire dignitosamente come ho vissuto. Vivo con l’incubo di morire soffocato. Aiutatemi”. Ogni giorno, da due anni a questa parte, almeno una mail o una telefonata giunge al servizio Sos Eutanasia. A rispondere ai messaggi sono spesso direttamente Marco Cappato e Mina Welby, che dispensano informazioni e consigli, sottolineando sempre che spetta alle strutture svizzere decidere se si hanno i requisiti per accedere all’eutanasia. Un compito delicato, specie quando in tanti, distrutti dalla sofferenza, minacciano di suicidarsi o di “rivolgersi alla clandestinità”.
A destare scalpore sono poi i tantissimi sos lanciati da giovani alle prese con depressione o altri disturbi psichici. “Ho 32 anni, da più di dieci soffro di disturbi psichici”, scrive una donna. “Ho tentato il suicidio moltissime volte, ma purtroppo non ci sono mai riuscita. Si tratta di attacchi di panico, di disturbi psicotici. Ho tentato il suicidio in molti modi, ultimamente ingerendo una scatola e mezza di psicofarmaci e una confezione di Haldol. Due anni fa mi sono buttata dal balcone e ora ho un femore in titanio. Non so più come fare. Il mio unico pensiero è quello di morire. Vorrei ricorrere all’eutanasia, ma in Italia non viene praticata. Come posso fare?”.
Discorsi apparentemente lucidi, come quello di una ragazza ventunenne. “Non mi piace la vita. Io vorrei non esser viva, credo che la mia esistenza sia sbagliata e vana, nonché un peso futuro per lo Stato e per le persone a me care. Vorrei che la gente accettasse l’idea che la vita non è per tutti. Sono in salute. Sono giovane. Sana e robusta costituzione. Ho una vita davanti a me: una vita che semplicemente non mi va di vivere. Esistono persone in fin di vita che altro non vogliono se non vivere e poi ci sono io, in perfetta salute, che tutto desidero tranne vivere”.
A questi ragazzi Cappato e Mina Welby rispondono spesso consigliando di rivolgersi a un sostegno psicologico. “In caso di sofferenza psichica – ci spiega Marco Cappato – consiglio innanzitutto di rivolgersi a uno psicoterapeuta in Italia, e avviso di come, in quella condizione, è molto difficile anche in Svizzera ottenere assistenza alla morte volontaria. La capacità di intendere e di volere è comunque un requisito indispensabile, e i centri svizzeri chiedono che sia certificata da medici italiani”.
Il diario sul Fine Vita dovrebbe essere agli atti delle varie commissioni parlamentari che si stanno occupando della legge sul Testamento Biologico. Al di là dei contributi scientifici, imprescindibili, quello che forse è mancato di più in questi vent’anni di vuoto normativo e dibattito spesso troppo politicizzato, è stata la più elementare e drammatica richiesta che emerge dagli sos raccolti dalla Luca Coscioni: la disponibilità all’ascolto.
@PiccininDaniele