Ingiusta detenzione e indennizzi milionari. In Italia la storia si ripete e come ogni anno si fanno i conti di quanto spende lo Stato per risarcire le persone detenute ingiustamente. Manca davvero poco alla fine del 2017, ma la tendenza di questo fenomeno è già ben chiara nell’andamento dei primi mesi. Secondo la classifica stilata da errorigiudiziari.com, che ha elaborato i dati forniti dal ministero dell’Economia, dal 1 gennaio al 31 maggio sono 471 i casi indennizzati (a fine 2016 furono 989). La spesa complessiva in indennizzi è stata di 18.636.861,94 euro (lo scorso anno furono liquidati in tutto 31320159,23 euro). Cifre importanti che pesano sulle casse dello Stato ma che molto spesso non riescono a sanare il torto subito. A pagare il prezzo più alto nella prima metà dell’anno, sono le città più a sud dell’Italia.
La classifica
Al primo posto troviamo Catanzaro con 74 casi. Al secondo Napoli (63) e Bari (53). Nella top ten c’è anche Roma con 33 episodi. Catania e Palermo, invece, si fermano a 26. Poco più giù nella classifica troviamo Salerno (23), Milano 20, Bologna 19 e Messina 18. All’ultimo posto, a pari merito, si trovano Taranto, Trento e Trieste con 1 solo caso. L’analisi non viene fatta sulle città stesse e nemmeno nelle province bensì su i distretti d’appello.
Errorigiudiziari.com, inoltre, ha fornito anche un’altra classifica, che va a completare la prima: le città dove lo Stato ha speso più soldi in risarcimenti. Anche in questo caso il podio è confermato. A Catanzaro sono stati spesi 4.454.508 euro, a Bari 2.288.159 e a Napoli 1.891.964.
Sempre secondo i dati forniti dal ministero dell’Economia, Milano, Messina e Caltanissetta sono le città che sono costate meno allo Stato visto che hanno speso rispettivamente 735.792 euro, 671.492 euro e 540.021 euro in risoluzione del problema.
Garrett: “Rendere le prove più facilmente documentabili da parte degli investigatori”
In un’intervista esclusiva fatta da Errorigiudiziari.com, Brandon L. Garrett, professore di procedura penale alla University of Virginia School of Law degliStati Uniti, esprime quella che potrebbe essere la soluzione a questi problemi. “È fondamentale che tutti i Paesi si dotino di strumenti che consentano la riapertura di casi chiusi quando si scoprono nuove prove di innocenza del condannato – spiega Garret – Ci sono modi diversi per farlo, a seconda dei vari sistemi giudiziari, ma ciò che conta è che deve esserci un modo per correggere gli errori. Proprio come accade nel sistema inquisitorio – sottolinea – in cui c’è una maggiore propensione all’accuratezza e a riprendere in considerazione vicende giudiziarie concluse”.
Il professore Garret consiglia nel concreto di “rendere le prove più facilmente documentabili da parte degli investigatori, usando video e registrazioni per gli interrogatori, in modo da rendere il loro lavoro più imparziale e meno a rischio di condizionamento sull’indagato o su un testimone oculare. In secondo luogo – continua – si dovrebbe fare in modo che le indagini siano più serie e affidabili dal punto di vista scientifico: negli Usa, per esempio, si cerca di limitare il più possibile le informazioni che non sono rilevanti e che potrebbero condizionare l’esperto forense. Il ruolo degli esperti chiamati a collaborare col giudice – conclude Garret – è essenziale: valutare la competenza dei consulenti forensi a priori, in modo da sapere se e quanto saranno effettivamente all’altezza del loro compito, può voler dire meno innocenti in carcere“.