In passato le investigazioni condotte all’interno dei gruppi islamisti, in parte sono state rese possibili dalle rivalità esistenti tra i criminali comuni e gli elementi radicalizzati, sebbene entrambi della medesima origine, poichè i primi mal sopportavano i secondi dai quali ricevevano continui inviti a cambiare stile di vita e anatemi di scomunica per i comportamenti anti-islamici.
La realtà di oggi è completamente cambiata. La grave crisi provocata in Europa dall’immigrazione selvaggia e incontrollata ha condotto le comunità di stranieri che si riconoscono a vario titolo nell’Islam, a identificarvisi e a trovare una comunione di intenti nel medesimo credo, anche se con modalità assai diverse e, in molti casi, divergenti. Così, lo spacciatore, il rapinatore, il ricettatore, se di estrazione arabo – islamica, si sentono ora accomunati ai sostenitori dell’Islam estremo in nome di un comune nemico: l’Occidente.
Le scene di rivolta provenienti dalla vicina Francia o dalla remota Svezia, per non citare altri esempi quotidiani di altri Paesi del Continente europeo, alle quali abbiamo assistito in più di un’occasione, rappresentano il tentativo neppure estremo di sostituire il nostro stile di vita con il loro, laddove con “loro” si intenda la buona parte di musulmani che, in modo più o meno palese, sostiene la superiorità della Sha’aria sulle altre leggi, anche nel caso di quelle costituzionali dello Stato che li ospita.
I migranti e la sindrome da invasione degli europei
La cosiddetta sindrome da invasione, che affligge buona parte dei cittadini europei, trova infatti una spiegazione legittima proprio nello stile comportamentale dei nuovi arrivati, completamente avulso ad ogni tentativo di integrazione. E ad innalzare la soglia del rischio e delle paure serpeggianti tra gli occidentali pesa, in modo non indifferente, il diverso approccio alle azioni violente e alla relativa diffusione di immagini da parte dei media che, mentre vengono censurate o quantomeno mal sopportate dal cittadino europeo-medio, per gli stranieri di una determinata e specifica origine appaiono come esempi da imitare nella lotta contro i miscredenti o, nel caso di vittime da ricondurre all’Islam, di martiri da vendicare.
Il sentimento falso-buonista che serpeggia in ben determinate fazioni politiche, non fa altro che rendere giustizia agli estremisti che si sentono così autorizzati a perseguire i loro scopi con metodi tutt’altro che democratici. E in questo, in special modo in Italia, sembra non essere riproponibile la reazione manifestatasi negli Anni di Piombo, quando la nazione e gli organi di governo si sollevarono come un tutt’uno contro una minoranza di folli estremisti determinati a sovvertire lo stato democratico.
L’attenzione che le nostre forze delegate alla sicurezza rivolgono verso i fenomeni criminali, sembra non essere assolutamente in sintonia con un sistema giudiziario completamente avulso e disconnesso dalla triste realtà del Paese. Anche le incerte misure restrittive della libertà personale, applicate ai criminali d’importazione, non appaiono assolutamente adeguate al raggiungimento della piena riabilitazione dei medesimi che, proprio all’interno delle mura penitenziarie, trovano il modo di diffondere il loro messaggio di odio verso il nostro stile di vita, compiendo, inoltre, un’insana opera di proselitismo e di reclutamento di nuove leve che all’uscita dal carcere troveranno il modo di rientrare nel “giro”.
Il rischio primario è determinato dal “passaparola”, caratteristica principale del sistema di pseudo integrazione delle comunità di immigrati già radicate sul territorio. Dal primo input, determinato da uno straniero “nuovo arrivato” che richiede e riceve specifiche e magari legittime prestazioni di accoglienza, si giunge a una sorta di avviso indiscriminato a tutte le comunità etniche che, a fronte delle problematiche rappresentate dal “primo della fila” e ai benefici conseguiti, ne seguono le orme con il consenso. Anzi, l’appoggio di Ong, strutture statali e amministrazioni comunali alle quali riescono a convogliare domande di assistenza “pseudo umanitaria” pur di mantenere lo status di “profugo” all’interno dei nostri confini nazionali, amplifica il problema. Quale miglior scusa di uno stato di gravidanza e a volte di una gravidanza “cercata” per ottenere il riconoscimento di rifugiato da parte di autorità non all’altezza di considerare ogni singolo caso?
E ancora, quante false identità si celano dietro le migliaia di “coloured” che al loro arrivo da clandestini (sì clandestini, poichè chi giunge in territorio straniero privo di documenti e visto di ingresso solo così si può definire) autocertificano la loro identità e provenienza con dichiarazioni al limite dell’ilarità rendendo arduo l’eventuale rimpatrio.
E questo solo a riguardo della semplice immigrazione clandestina. Ma sono plurime le problematiche che in prospettiva dovrebbero essere poste all’attenzione dei responsabili della sicurezza a livello nazionale.
I buchi neri della sicurezza
Con particolare riguardo al settore della minaccia islamista, si individuano alcuni punti che, in estrema sintesi, possiamo così riassumere: l’estrema volatilità degli strumenti di finanziamento al terrorismo, ad esempio il metodo hawala; l’autofinanziamento dei gruppi islamisti non comprovabile poiché basato su raccolta autonoma di fondi mimetizzata da “zakat” (elemosina); una banca dati delle Forze di Polizia non aggiornata e non uniformata secondo le reali generalità dei soggetti immessi; il supporto agli estremisti fornito da criminali comuni autoctoni e stranieri; la raccolta di fondi formalmente destinati a Ong che vengono smistati a gruppi estremisti anche, e soprattutto, al di fuori dei confini nazionali; l’indottrinamento e il reclutamento all’interno degli Istituti di pena.
E l’elenco dei buchi neri della sicurezza, non si ferma qui. Esistono altre forme di illeciti sommersi che occorrerebbe affrontare. Tematiche che sfuggono ai più poichè non aderenti al nostro modo di pensare troppo occidentale e privo di una reale volontà di calarsi realmente in una realtà sfuggente. L’esempio della Taqiyya è lampante. La dissimulazione, una pratica che potrebbe anche far sorridere i più, ma che fornisce agli estremisti islamici quell’insidiosissimo valore aggiunto che contribuisce ad innalzare, caso mai ce ne fosse bisogno, il tasso di pericolosità derivante dalle cellule operanti nel nostro Paese.
Il decreto Salvini porterà sicuramente dei benefici non indifferenti alla lotta contro l’immigrazione illegale, ma sino a quando non si provvederà al rimpatrio coatto di una parte consistente di clandestini, questi finiranno prima o poi per andare a ingrossare le fila della criminalità comune o organizzata e, in buona parte, anche quelle degli estremisti islamici che proprio tra la massa di irregolari individuano da sempre le nuove leve da arruolare nelle già folte schiere dei folli seguaci della jihad.