Un panda salvato da un circo. Una scimmia rinchiusa in una gabbia. O una tigre sequestrata mentre era nel giardino di gente senza scrupoli che desiderava farne semplicemente sfoggio. Centinaia di animali, quotidianamente, vengono salvati dalle forze dell’ordine in tutta Italia. E spesso, fortunatamente, finiscono al parco dell’Abatino. Questa è la storia di Laura e Antonio, i fondatori della struttura che sorge alle porte di Rieti. Un’avventura iniziata più di vent’anni fa, con la passione per la cura degli animali.
Sin dal 1980 il Parco Faunistico Piano dell’Abatino offre rifugio e cure ad animali provenienti da situazioni più disparate: sequestri giudiziari, ritrovamenti di animali feriti, salvataggi dalla vivisezione. Questo e molto di più nel rifugio per animali, ma purtroppo in Italia non esiste ancora una legge nazionale che regoli questi centri e che tuteli gli animali.
“All’inizio facevamo esclusivamente attività di recupero di animali selvatici della fauna autoctona – ci racconta il signor Antonio – poi, con il tempo, si è aggiunta l’ospitalità ad animali esotici, vittime non solo del commercio legale e illegale di esseri viventi, ma anche di circhi, zoo e di altre forme di sfruttamento. Il nostro parco è anche rifugio permanente per individui salvati dai laboratori di vivisezione, per gli animali feriti dai cacciatori o da altre attività umane e non più adatti a essere reintrodotti in natura e per quegli animali considerati abitualmente come carne da macello”.
Attualmente la casa ospita 450 animali, ognuno con una storia da raccontare
Tra i primati troviamo macachi di Tonkeana, macachi di Java, macachi berberi, macachi rhesus, cebi, cercopitechi, una gibbona, una babbuina e poi le piccole uistitì e le saimiri.
In aree riscaldate molte specie di pappagalli e uccelli abituati a climi molto caldi trovano un ambiente ideale, mentre in ampie voliere fornite di specchi d’acqua, trovano rifugio tartarughe, pellicani, emù, anatre, oche e galline condividono senza problemi cibo e spazi.
Tra rupi scoscese e alberi della flora mediterranea come ulivi e mandorli, cinghiali, asini e capre girgentane contemplano il bosco sottostante dove altri asini e capre dividono il fieno e la verdura con un gruppo di alpaca.
Ci sono poi le eleganti linci, gli elusivi gufi reali, gli orsetti lavatori e i furetti.
Questo stupendo rifugio faunistico si estende su dieci ettari nei boschi reatini, diviso in due macroaree: il centro di recupero (animali in quarantena o di transito, lì si decide se l’animale è recuperabile o meno) e un santuario (ci sono animali non recuperabili e quindi permangono a vita).
Rifugio, riparo, riscaldamento, interventi clinici, cura e attenzione per questi animali particolari.
“Le cliniche ci mettono a disposizione gratuitamente le loro strutture – racconta Laura – facciamo anche attività di pronto soccorso e riabilitazione. Gli animali arrivano in condizioni disperate, facciamo del tutto per rimetterli in sesto ma in questo momento manca un tavolo in cui si ci sieda attorno, istituzioni, Regione e strutture di rifugio per trovare una soluzione di comune accordo”.
In Italia non c’è una legge nazionale che regoli questi centri
“Gli animali esotici non si sa chi li debba recuperare – continua la fondatrice del rifugio – il Ministero è convenzionato con due strutture, ma a che titolo? C’è stato un bando di concorso? E le altre?
I centri di recupero hanno difficoltà a dialogare tra loro e sono in difficoltà perché regolamentati da normative diverse al livello locale. Con l’abolizione delle Province la competenza è passata alle Regioni, ma la documentazione è stata cancellata. Quindi, dopo vent’anni, dobbiamo ricominciare tutto da capo. Al livello politico non vengono dati strumenti che permettano a queste strutture di operare in maniera decente”.
Tutti questi centri vengono regolamentati da normative diverse al livello locale, e questo rende più difficile un lavoro in quanto ognuno fa riferimento a enti diversi.
“Noi collaboriamo anche con Asl, forze dell’ordine, cliniche che non sanno a chi rivolgersi. Non c’è chiarezza da parte delle istituzioni – continua il signor Antonio – Se a questa difficoltà oggettiva, derivante dal fatto che abbiamo a che fare con una fauna esotica e selvatica che di per sé è già difficile gestire, aggiungiamo le difficoltà burocratiche per cui non si riesce a capire chi deve intervenire nel recupero e chi poi deve tenere l’animale, la situazione diventa disastrosa”.
L’ideale sarebbe che ci fosse un riferimento territoriale con un bacino non talmente grande da non permettere un recupero in tempi brevi.
“Il ministero dell’Ambiente ci ha detto che i Crase (Centri di recupero della fauna esotica), non esistono – concludono i proprietari della struttura- In realtà non c’è una legge europea, a differenza degli zoo, per cui queste strutture di recupero sono regolamentate. Gli animali esotici non si sa chi li debba recuperare”.
C’è bisogno di un intervento al livello istituzionale che detti delle normative ad hoc per tutelare i rifugi faunistici che recuperano e curano ogni giorni animali di ogni tipo, dall’esotico al selvatico.
L’appello dei fondatori del Parco dell’Abatino, Antonio e Laura: “Mettiamoci attorno a un tavolo, istituzioni Regioni e strutture, e troviamo una soluzione cercando di risolvere il problema”.