Dai passaporti rilasciati ai miliziani di Hezbollah al giallo del diplomatico morto a Caracas. É una strana triangolazione quella dei rapporti tra Italia, Iran e Venezuela. «Troppe truffe, troppi personaggi che organizzano agenzie per regalare la cittadinanza italiana con finti avi italiani, perché il passaporto italiano è comunitario e serve per entrare in Europa e negli Stati Uniti». Così il ministro degli Esteri Antonio Tajani si esprimeva nei giorni scorsi in una conferenza stampa tenutasi all’Università di Padova, riferendosi alla revoca di cinque cittadinanze elargite ad altrettanti soggetti riconducibili all’organizzazione terroristica di Hezbollah.
I passaporti a Hezbollah rilasciati sulla base di false dichiarazioni
I passaporti italiani risultavano essere stati rilasciati dall’ambasciata italiana a Caracas, capitale del Venezuela, attraverso un’agenzia locale che con un iter basato su false dichiarazioni anagrafiche ed altrettanto fantasiose ricostruzioni sugli alberi genealogici dei clienti riusciva, dietro lauti compensi, ad ottenere l’anelato documento idoneo alla libera circolazione degli intestatari, sia in Europa che negli Stati Uniti. A tale proposito, l’Esecutivo in carica ha da tempo approvato il decreto legge, divenuto operativo, nel quale si provvede alla immediata revoca della cittadinanza nel caso in cui lo straniero, divenuto cittadino italiano, si rendesse responsabile di reati con finalità di terrorismo o di eversione dell’ordinamento costituzionale, oppure contro la personalità dello Stato.
Questa sembrerebbe, secondo la cronaca, una vicenda come tante altre da porre in relazione a fattori di mera falsificazione documentale e della correlata “indebita” accettazione e vidimazione degli atti presentati per l’ottenimento della cittadinanza, per non voler arrivare ad una vera e propria opera di corruzione (o collusione) di pubblici ufficiali. In realtà il fatto, non certo episodico, relativo all’ennesimo anomalo rapporto con Caracas, e di conseguenza, con il regime degli ayatollah, non dovrebbe suonare come una novità, ma l’ennesimo capitolo di una strana catena di episodi che nel corso degli ultimi anni si sono verificati nel paese sudamericano.
Nell’occorso, infatti, successivamente ai sospetti palesati in seno alle autorità italiane in merito alle migliaia di passaporti rilasciati dalla sede diplomatica di Caracas, il console generale stanziato in Venezuela, Nicola Occhipinti, è stato oggetto di una mirata attività ispettiva da parte di ispettori delegati del Dicastero della Farnesina. Gli accertamenti avevano come obiettivo le ragioni dell’estrema celerità del rilascio dei passaporti a fronte delle migliaia di richieste da parte di sedicenti originari della Penisola e alla tipologia e contezza delle verifiche effettuate per completare l’iter necessario per il rilascio del documento. A fronte della situazione, alquanto anomala, Occhipinti è stato richiamato in Patria per fornire la sua versione sui fatti per i quali sono tuttora in corso ulteriori indagini delegate alle Forze di Polizia finalizzate all’accertamento della regolarità del rilascio dei passaporti che, nell’informativa finale, verranno trasmesse alla Procura di Roma nel caso emergessero elementi di reità.
Non solo falsi passaporti a Hezbollah: a Caracas la morte di un italiano avvolta ancora dal mistero
Ma le cose da chiarire nei rapporti Roma-Caracas non sono solo quelli relativi ai passaporti. Un mistero avvolge ancora la morte del funzionario diplomatico italiano, Mauro Monciatti, trovato senza vita nella sua abitazione nella capitale venezuelana a giugno 2016. Una morte che presenta caratteristiche tali da essere attribuita a cause terze. Per le autorità di polizia del posto il decesso sarebbe dovuto a “cause naturali”. La porta dell’abitazione era chiusa, priva di segni d’effrazione, ma Monciatti presentava una profonda ferita alla testa che, secondo le indagini, sarebbe stata provocata dal trauma dovuto alla caduta. Quando, però, la salma del diplomatico fece rientro in Italia, la famiglia espresse immediatamente seri dubbi sull’accaduto. Infatti, oltre alla profonda ferita sul capo, il corpo di Monciatti presentava numerose ecchimosi. Inoltre, la salma traslata dal Venezuela era priva di alcuni organi, tra cui il cuore, idonei a disporre una seconda e più accurata autopsia. A seguito dell’inquietante scoperta, la famiglia del funzionari d’Ambasciata, confortata dall’assistenza di un avvocato, si era rivolta direttamente alla Procura romana. Il legale della famiglia Monciatti aveva, inoltre, riferito alle autorità inquirenti sulla manomissione di alcuni file contenuti in sei chiavette USB di proprietà del defunto e sul tenore dell’ultima telefonata intercorsa tra il Monciatti e la consorte, che rivelava l’inquietudine dell’uomo sulla rilevata compromissione amministrativa della Legazione di Caracas e sulle falle nei bilanci. L’uomo, infatti, potrebbe aver scoperto “un buco nella contabilità” che gli sarebbe stato fatale. Alla moglie aveva riferito: ‘Qui è un disastro, è il caos. Non so dove mettere le mani’. In aggiunta ai legittimi sospetti maturati dalla famiglia, trova posto anche la relazione arrivata da Caracas secondo la quale il corpo del funzionario italiano venne identificato come di “razza meticcia”. Nello stesso documento viene evidenziato che i polmoni dell’uomo erano affetti da antracosi, una malattia cronica tipica dei minatori, un aspetto non certo compatibile con le attività professionali del funzionario italiano. A completare il quadro di un mistero irrisolto, la strana sparizione di una coppia di colombiani avvenuta a seguito della morte del diplomatico italiano, residenti nel medesimo stabile di Mauro Monciatti, e sulla cui scomparsa le autorità venezuelane non ottennero alcuna risultato. Non è mai stato appurato se se i coniugi avessero una qualche relazione con la morte del funzionario ma, proprio al fine di ricostruire l’ambiente nel quale è maturata la morte del funzionario, sarebbe proponibile una riapertura del caso da parte dei PM competenti della Procura di Roma. Ma c’è di più.
Tornando alla questione legata ai passaporti rilasciati dall’Ambasciata di Caracas, gli accertamenti del ministero degli Esteri sono stati estesi ad altri Paesi dell’America Latina, in particolare Uruguay, Argentina e Brasile, la cui estrema rapidità del rilascio delle cittadinanze avrebbe fatto insorgere dubbi sull’operato anche in seno alle altre rappresentanze diplomatiche.
Venezuela – Iran l’asse transoceanico dedito al male e il ruolo italiano
Diviene quindi proponibile un’ipotesi alquanto inquietante relativa ai rapporti in essere, più o meno formali, tra il nostro Paese e il regime dispotico di Nicolas Maduro. Nel corso degli anni, infatti, il Venezuela è diventato una sorta di proxy iraniano e, nella fattispecie, dell’IRGC e del network di Hezbollah. Sono noti gli scambi commerciali tra i due paesi, in palese violazione dell’embargo cui l’Iran è da anni sottoposto, così come non appare una sorpresa la consolidata alleanza tra i due regimi tirannici e il traffico illecito di armi e sostanze stupefacenti tra Caracas e Teheran. Nel merito, l’Italia, figura come il prezzemolo, lo trovi dappertutto.
Come abbiamo già ampiamente trattato, la storia dei rapporti “fantasma” tra imprenditori nostrani e corrispondenti del paese mediorientale, è una pratica che risale agli anni ’80 e si trascina ai giorni nostri. Infatti, dal 1985 il nostro Paese è stato coinvolto nella fornitura di materiali bellici alle due parti allora in conflitto, Iran e Iraq, con l’unica eccezione dei “materiali elettronici”, definiti di alta importanza strategica ai committenti. Successivamente, le pressioni di Teheran sugli approvvigionamenti necessari a portare avanti la politica espansionistica a livello regionale del paese, indussero le aziende italiane coinvolte, e non solo, a creare un partenariato al fine di triangolare le operazioni di esportazione di quanto richiesto, ovvero di fornire singole derrate di materiali che, singolarmente, non rappresentassero caratteristiche tali da indurre sospetti da parte delle Autorità preposte al controllo, pur nella considerazione che i depositi dell’esercito venivano regolarmente utilizzati per l’accumulo e la custodia delle derrate oggetto del traffico. Nel 2015, tanto per dare seguito all’amichevole rapporto con gli iraniani, la Guardia di Finanza di Venezia conclude una complessa indagine sul traffico internazionale di armi verso Teheran, con particolare riferimento a materiali “dual use”. Ad essere coinvolti nei traffici risulta una coppia di italiani, convertiti all’islam sciita, il titolare della “Società italiana elicotteri” ed un cittadino libico.
Nel 2020, si assistette ad un “salto di qualità” rispetto ai traffici consolidati da parte di alcune entità societarie con l’ingresso in affari della ‘ndrangheta calabrese. Una realtà che, comunque, riporta anche un pregresso rinvenimento, nel 2010, al Porto di Gioia Tauro di un carico di ben 7 tonnellate di esplosivo T4 che, con il classico sistema di “triangolazione, era partito dalla Siria per raggiungere, con tappa in Italia, le coste libanesi con destinazione finale i magazzini di Hezbollah. I rapporti tra la mafia calabrese ed i terroristi sciiti libanesi, nel frattempo, si erano ampliati nella comunanza del traffico di stupefacenti posto in essere dagli emissari sudamericani che provvedevano a incaricare i “ndranghetari” delle operazioni di riciclaggio dei proventi dal traffico negli USA per poi essere ulteriormente immessi nel mercato italiano per l’acquisto di auto, macchinari per l’agricoltura ed industriali che venivano esportati al porto di Bandar Abbas dal porto belga di Anversa.
Nel 2017, la magistratura intervenne in un ulteriore caso di un network criminale dedito al traffico di stupefacenti che si dipanava tra i porti di Gioia Tauro, Napoli, Salerno, Genova e la Colombia. Anche in questo caso, il personaggio chiave del traffico era un cittadino libanese, residente in Italia, legato a doppio nodo con Hezbollah.
Nel 2020, infine, un consistente carico di anfetamine di tipo “Captagon”, erroneamente indicata come la “droga dell’Isis”, veniva intercettato nel porto di Salerno proveniente dai porti libanesi. Anche in questa indagine, i sospetti di una diretta connessione con Hezbollah, divennero da subito palesi.
Sempre nel 2020, a Formello, in provincia di Roma, si perpetra un inspiegabile caso di omicidio-suicidio avente per protagonisti due cittadini iraniani coinvolti in una vasta rete composta da agenti del Vevak, “ndranghetari” e trafficanti russi. Oggetto dell’eterogenea organizzazione era il traffico d’armi in favore dell’Iran. A seguito di controverse indagini della Procura di Roma, vengono indagati per “associazione con finalità di terrorismo” quattro cittadini iraniani risultati irreperibili.
Ma l’estensione delle attività del Vevak nel nostro Paese, viene ulteriormente accresciuta nel tempo con le loro inferenze con imprenditori del nord Italia (Milano e Torino in primis) per congiungersi a quelle permanentemente in essere nella Capitale dove, oltretutto, molti agenti operativi venivano inviati da Teheran con coperture di studenti universitari o giornalisti dell’IRIB-IRNA (network statali iraniani).
Un’altra vicenda è quella che ha visto coinvolto l’attuale ministro per lo Sviluppo economico e del Made in Italy, Adolfo Urso, già coinvolto in rapporti con la citata Società italiana elicotteri e nel 2021, anno nel quale presiedeva il Copasir, in rapporti consolidati con un fornitore di velivoli per la Libia e l’Iran, peraltro già condannato. Il settimanale “L’espresso” contribuì notevolmente alla divulgazione di materiale documentale che connetteva Urso nella direzione della Italy World Service, all’epoca stanziata a Teheran, che manteneva stretti rapporti con il regime iraniano e che, per arcane motivazioni, ebbe successivamente a transitare la propria sede in Bulgaria. Per dovere di cronaca è importante sottolineare che dopo l’interrogatorio cui Urso venne sottoposto nel 2017, lo stralcio romano dell’inchiesta sulla fornitura di materiali “dual use” verso l’Iran venne archiviato.
Iran-Israele: guerra tra teocrazia e democrazia
Il regime teocratico iraniano è universalmente noto per la sua avversione a qualsiasi forma di rispetto del diritto umanitario sia interno che esterno al paese, per la miserevole condizione delle donne, per il quotidiano ricorso a pene capitali comminate non per crimini efferati, ma semplicemente per la manifestazione di qualsivoglia dissenso nei confronti dell’autorità costituita o delle regole sharaitiche (tratte da esegesi ad uso e consumo dei tiranni di turno) il cui rispetto è imposto con ferree regole a tutta la popolazione. Teheran è da decenni indicata, accusata e condannata per la sua dedizione alla promozione, sostegno e finanziamento della galassia del terrorismo islamista, anche se indotto da credenti sunniti di gruppi che nulla dovrebbero avere a che spartire con lo sciismo propalato dal regime degli ayatollah. L’Iran, come rappresentato da quanto descritto nel corpo del testo, è a capo di una fitta rete di faccendieri, contrabbandieri, corruttori, regimi tirannici che si estendono dal Medio Oriente al Sud America all’Africa Sahariana sino a giungere ai consolidati rapporti con Cina, Corea del Nord e Russia, intessuti nel tempo e non certo tesi al raggiungimento della pace universale.
Dall’altra parte, Israele. Un Paese di circa 10 milioni di abitanti, dei quali il 30% rappresentato da arabi, curdi e altre minoranze, esteso quanto l’Emilia Romagna, circondato da paesi dalle intenzioni tutt’altro che pacifiche, ad eccezione della Giordania, credente in una religione professata globalmente dallo 0.2% della popolazione mondiale e perennemente in uno stato di guerra indotto dai reiterati tentativi di cancellazione dalle mappe. Aggressioni dalle quali Israele è, peraltro, sempre uscito vincitore.
Ora, per proporre un discorso comprensibile a tutti: lo Stato ebraico può proporsi come aggressore e genocida se non xenofobo o addirittura “nazista” a fronte di un nemico preponderante se non altro in termini numerici?
O forse è più probabile che l’intento dell’Establishment di Israele sia atto a scongiurare ulteriori atti ostili nei confronti della sua popolazione ed a proporre un reale tavolo di trattative solo dopo il respingimento a debita distanza degli avversari ed il ripristino della sicurezza dei propri confini.
L’italianismo benevolo e accondiscendente in nome del “volemose bene”
Ma, come italiani, come sempre, ragioniamo in termini di “trattative”, “accordi”, buonismo esasperato, “non violenza”, “Stato di diritto” in uno stato di trance politica che somiglia molto ai voltafaccia che hanno caratterizzato il secolo scorso in occasione, soprattutto, dei due conflitti mondiali (con o senza ragione, ma con combattimenti ancora in corso…) per non parlare degli accordi in sedi occulte con i terroristi di matrice palestiniana per salvaguardare gli interessi nazionali a discapito di quelli di Paesi amici magari confinanti, alleati o semplicemente amici come, appunto, Israele.
Siamo riusciti nell’intento di portare sul banco degli imputati i difensori della Patria nel caso della “famigerata” Gladio, o a parlare di servizi deviati ogni qualvolta non si abbia trovato altro capro espiatorio, di imputare al potere delle lobby ebraiche ogni scandalo, ogni rivoluzione, ogni conflitto internazionale, per non parlare dei poteri occulti, perennemente presenti, se non di altre nefandezze diffuse dagli idioti di turno, e recepite e fatte proprie da paritetici, tesi a cercare il male anche dove non c’è. O, piuttosto, di creare un colpevole ad hoc qualora non si sia riusciti negli intenti voluti, e più che plausibili oltre che leciti, di arrivare ad una reale soluzione di un qualsiasi caso e dell’identificazione del reale “carnefice”.
Ma tant’è. Da Maduro a Khamenei passando per le Brigate Rosse e Settembre Nero, Hezbollah e il Daesh, l’invasione incontrollata di clandestini, la criminalità dilagante e le toghe rosse, non solo di vergogna, in fondo, “volemose bene”, funziona così.
Fino a quando?