In questi giorni in cui il mainstream è occupato in toto alla campagna elettorale in vista delle imminenti elezioni del 25 settembre prossimo, pochi hanno colto l’inquietante vicinanza tra gli interessi nazionali e quelli di Israele. Proprio ieri, infatti, l’Eni ha annunciato l’importante scoperta di un giacimento di gas nell’impianto del Pozzo Cronos-1, nel Blocco 6, a circa 160 chilometri al largo di Cipro, in una profondità d’acqua di 2.287 metri.
Secondo le prime stime, nel giacimento sarebbero presenti poco più di 70 miliardi di metri cubi di gas, utili a soddisfare una buona parte del fabbisogno interno in un momento in cui è venuta meno l’importazione del gas russo.
Il blocco è operato da Eni Cyprus con una quota del 50% mentre TotalEnergies è partner con il restante 50%. Le stime preliminari indicano circa 2,5 Tcf (trilioni di piedi cubi) di gas in posto, con un significativo potenziale aggiuntivo che verrà valutato con un ulteriore pozzo esplorativo.
La notizia ha raggiunto la massima copertura con la diffusione tramite i tg nazionali e qualche talk show che ne hanno ripreso i titoli. Ma a livello analitico, la vicinanza degli impianti Eni alle piattaforme israeliane è un fattore di rischio da considerare in chiave prospettica.
Le forze di sicurezza israeliane sono in massima allerta al confine settentrionale per il timore che il gruppo terroristico Hezbollah possa tentare di effettuare attacchi per impedire che abbiano luogo i colloqui tra le autorità libanesi e quelle di Gerusalemme, per delimitare i rispettivi confini delle acque territoriali in modo pacifico.
Il motivo del contendere è la piattaforma di Kirish dalla quale i tecnici israeliani hanno iniziato le attività estrattive subito ostacolati dal sorvolo di droni lanciati da Hezbollah ed abbattuti dalle corvette della marina militare israeliana.
Israele e Libano sono impegnati da oltre un anno in colloqui mediati dagli Stati Uniti volti a risolvere una disputa sui diritti dei giacimenti offshore ritenuti ricchi di gas naturale.
Entrambi i paesi rivendicano circa 860 chilometri quadrati del Mar Mediterraneo. Il Libano afferma anche che il giacimento di gas di Karish si trova in un territorio conteso nell’ambito dei negoziati sui confini marittimi in corso, mentre Israele afferma che si trova all’interno delle sue acque economiche riconosciute a livello internazionale.
Hezbollah, con il sostegno dell’Iran, si è opposto a gran voce a qualsiasi concessione nei colloqui con Israele. Il suo leader, Hassan Nasrallah, ha costantemente minacciato di prendere di mira le installazioni offshore israeliane.
Un ulteriore innalzamento delle tensioni nella zona, con attacchi dal Libano condotti dai miliziani sciiti e la relativa risposta israeliana, condurrebbe in breve ad una escalation non solo in teatri terrestri, ma anche in quelli marittimi, rendendo la navigazione e le attività estrattive a rischio di possibili incidenti.
E se è vero che l’Italia partecipa alla missione Unifil in Libano, seppur con compiti limitati ad una sobria vigilanza sui confini, nelle aree marittime internazionali antistanti le coste del Paese dei cedri , l’Eni non potrebbe contare, almeno al momento, sul supporto di alcuno, tranne unità navali turche. Il protocollo di collaborazione firmato con la Marina Militare nel 2021, per un serrato servizio di sicurezza alle piattaforme Eni, non prevede attività presso obiettivi specifici ma, genericamente, un pattugliamento periodico presso qualche piattaforma dove svolgere esercitazioni di routine.