“La prima sede italiana, quella di Milano appunto, è nata nel 1996 sull’onda degli scandali italiani: tangentopoli e mani pulite. Insieme a un gruppo di amici imprenditori, avvocati e professori universitari abbiamo deciso che non era più tempo di stare a guardare, ma bisognava agire contro questa piaga. La corruzione in Italia non si arresta mai, cambia solo nome. Ieri mani pulite, oggi Mafia Capitale. Riceviamo all’anno almeno 230/250 segnalazioni”. Ofcs Report ha approfondito con Virginio Carnevali, presidente di Transparency International Italia, i temi della corruzione e del fenomeno, sempre più in ascesa in Italia, del whistelblowing.
Transparency International Italia nasce soprattutto per dar voce e tutela alle vittime e ai testimoni di corruzione (whistleblower o lanciatori di allerta). Grazie a queste persone infatti si riesce a contrastare la corruzione in tutte le sue forme. Qual è il vostro ruolo principale?
“Il nostro servizio, insieme ad Alac (Allerta anticorruzione) con cui collaboriamo attivamente, è indirizzato a tutti i cittadini, siano essi vittime, testimoni o whistleblower, che vogliono segnalare un caso di corruzione di cui sono venuti a conoscenza diretta. La nostra priorità è quella di assistenza e mediazione”.
Come avviene il primo contatto fra il whistleblower (informatore, lanciatore di allerta) e voi? L’informatore rimane anonimo?
“Certamente. Al momento della segnalazione la persona che decide di denunciare un illecito, qualsiasi esso sia, è coperta e tutelata dall’anonimato. Prima di tutto, prendiamo in carico la segnalazione che ci arriva esclusivamente attraverso una specifica piattaforma online, sicura e protetta, che permette di inviare tutte le informazioni riguardanti il proprio caso. Tutto questo, attraverso un percorso guidato di domande. La scelta di questo canale ha diverse motivazioni: avere una base scritta e documentata, orientare la segnalazione attraverso un percorso specifico di domande e informazioni, facilitare la prima gestione da parte del ricevente, aprire la piattaforma anche ai segnalanti anonimi, garantire la protezione della riservatezza dell’identità del segnalante nonché delle informazioni inviate, e porre un filtro alle segnalazioni irrilevanti grazie alla lista di campi obbligatori da compilare necessariamente prima dell’invio”.
Le successive comunicazioni con l’informatore come avvengono?
“Noi prendiamo in carico tutte le segnalazioni, dopodiché ricontattiamo il segnalante chiedendo ulteriori informazioni e documentazioni. A seconda di ciò che ci viene segnalato poi ci muoviamo, segnalando caso per caso o in procura o alla pubblica amministrazione. In accordo poi con il segnalante, le comunicazioni successive possono avvenire anche attraverso un e-mail o telefonicamente”.
Come anche scritto sul vostro sito di riferimento, sottolineate che per quanto la vostra funzione è principalmente quella di assistenza e mediazione. I vostri servizi non prevedono certo quello di sostituirvi alle istituzioni competenti, giusto?
“Come detto prima, nonostante noi ci avvaliamo di esperti legali e seguiamo passo dopo passo il whistleblower, studiando nei minimi particolari il caso, noi e tutti gli esperti che vi collaborano, non possiamo far altro che fare da tramite, fra loro e gli enti privati, pubblici e le varie forze dell’ordine. Questo perché manca ancora una vera e propria legge a tutela di queste persone che con coraggio decidono di denunciare un illecito”.
Ma nonostante questo il fenomeno dei whistleblower è un fenomeno in forte crescita in tutto il mondo, Italia inclusa.
“Si, e proprio per questo abbiamo sottoscritto con Anac (Autorità nazionale anticorruzione ndr), un accordo al fine di gestire e collaborare al meglio, per le persone che denunciano casi di illeciti nella pubblica amministrazione. Questo, affinchè ci sia almeno una minima tutela per il segnalante. Ma il problema principale nella tutela dell’informatore, soprattutto quella del dipendente pubblico è che né Transparency International Italia, né Anac, oltre a predisporre una segnalazione ben fatta e documentata, non hanno nessun potere legislativo. Tutto infatti passa alla Pubblica Amministrazione che non sempre ha dimostrato una grande volontà nel tutelare questi segnalanti”.
E’ di pochi giorni fa, la notizia che la Commissione europea ha finalmente avviato una consultazione pubblica sulla protezione dei lanciatori di allerta. La svolta, che risale allo scorso 3 marzo, arriva dopo il segnale da parte del Parlamento europeo in cui si esortava la Commissione a garantire una protezione efficace ai whistleblower presenti e attivi nell’Unione attraverso una legge paneuropea. In Italia com’è di fatto la situazione?
“Sui lanciatori di allerta alla Camera c’è già un testo approvato, ma come sempre accade, ancora fermo al Senato”.
Presidente, fra tutti i casi che avete trattato quello che le è rimasto più impresso?
“Le persone che abbiamo aiutato sono tante, ma per ovvi motivi i casi devono rimanere tutti riservati. Uno dei casi, più eclatanti e di cui la stampa ha anche parlato , è il caso Franzoso, funzionario delle Ferrovie Nord Milano, partecipate dalla Regione Lombardia. Marchiato come una spia, demansionato, isolato e poi trasferito. La sua colpa? Quella di denunciare le spese pazze (600 mila euro) da parte dei vertici dell’azienda. Nonostante tutto era a suo favore a causa delle mancate garanzie a tutela dei whistleblower nel settore privato, il magistrato si è visto costretto a rifiutare il suo appello. Il giudice infatti si era reso completamente conto dell’ingiustizia ai danni di questa persona, ma la legge si ritrovava nell’impossibilità di dargli ragione”.
Non crede che sia un modus tipicamente italiano non avere regolamentazioni strutturate?
“In Italia non si fa niente di regolamentato e strutturato. E’ sempre tutto lasciato alla buona volontà dei singoli. Qui a Milano, ad esempio, tutti gli anni facciamo un nostro resoconto dettagliato sulla situazione. Resoconto che poi viene dato al Sindaco che lo pubblica su sito dell’amministrazione in modo visibile e trasparente”.
Dal vostro ultimo rapporto del 2016, forse anche grazie a questi coraggiosi informatori, il nostro Paese ha segnalato un miglioramento del suo Cpi (Indice di percezione della corruzione ndr), salendo dal 72esimo posto al 60esimo. Agli ultimi gradini della classifica invece figuravano la Somalia, il Sud Sudan, la Corea del Nord e la Siria, classificata al 13esimo posto. Insomma, non siamo tanto peggio di altri, no?
“La corruzione c’è ovunque. Pensiamo al caso in Corea del Sud dove il vicepresidente del colosso Samsung, Lee Jae-yong, è stato accusato di aver versato una mazzetta di quasi 40 milioni di dollari. Qui in Italia, pur essendoci piccoli miglioramenti, forse ce ne è un po’ di più. Ogni giorno dobbiamo fare i conti con questo malcostume, fatto di lobby interne difficili da sradicare, sia nel privato che nelle pubbliche amministrazioni. In alcune regioni del sud è ancora più diffusa a causa della predominanza della malavita organizzata, in quanto la malavita non ha certo problemi di soldi ed è molto più agevolata e proficua nel corrompere o minacciare”.
Chi è minacciato è più corruttibile di altri?
“La corruzione per paura è in minima parte. La verità è che i corrotti, la maggior parte delle volte lo fanno per soldi e interessi vari. E’ un malcostume generalizzato. Quella più grave poi è la “corruzione ambientale” ancora più difficile da indagare e denunciare. La corruzione in Italia, è un fenomeno molto vasto, ed è il vero mitra della malavita organizzata“.