“Ciò che mi ha spinto alla pubblicazione di questo libro è soprattutto la voglia di mantenere viva l’attenzione sulla sua vicenda. Una vicenda che potrebbe capitare ad ognuno di noi. Un modo, il mio, per non far calare il silenzio su un errore giudiziario che ancora oggi deve o almeno dovrebbe far riflettere”.
Il caso Enzo Tortora è stato l’errore giudiziario più clamoroso e mai avvenuto nel nostro Paese. Accusato dai magistrati di Napoli di trafficare droga per la camorra, finì in una retata di 856 persone, dove venne prelevato ed arrestato all’alba di quello che sembrava un giorno qualunque. Un evento che stravolse completamente la sua vita, ma soprattutto la sua dignità di uomo onesto e perbene. E proprio in quei giorni, tra il giugno del 1983 e il 17 gennaio 1984, quando dal carcere sarà posto agli arresti domiciliari, che Enzo Tortora invia 45 lettere alla compagna Francesca Scopelliti, che ha deciso ora di renderle pubbliche grazie al suo libro “Lettere a Francesca” (Pacini editore). In ogni missiva, parola dopo parola, si approfondisce la conoscenza di quell’uomo che fino alla fine ha professato con tenacia, coraggio e forza la sua innocenza.
“Non mi parlare della Rai, della stampa, del giornalismo italiano. È merda pura. A parte pochissime eccezioni mi hanno crocifisso, linciato, sono iene. Sai, non esco a fare l’ora d’aria perché i tetti sono pieni di fotoreporters”. (31 luglio). In queste parole c’è tutta la rabbia, la delusione e l’incredulità del suo compagno. In qualche modo lei consegna al lettore la parte più intima di Enzo Tortora. Non deve essere stato semplice decidere di pubblicare integralmente queste missive.
“Queste lettere hanno la metà dei miei anni e visto che il tempo passa anche per me, non volevo che questa importante testimonianza rimanesse e diventasse carta straccia in fondo ad un cassetto. E’ stato il mio modo di onorare la memoria di Enzo, facendo conoscere la sua grande forza e tenacia. La forza di un uomo liberale, libero e soprattutto innocente. Il libro, inoltre, ha un taglio più giuridico che personale, ho volutamente dato ampio spazio alle lettere di denuncia, rispetto a quelle più intime fra noi”.
Lei stessa ha dimostrato coraggio in questa vicenda giudiziaria dove tutto sembrava il contrario di tutto. Da subito ha creduto alla sua innocenza rimanendogli accanto e combattendo con lui.
“Non credo di essere stata particolarmente coraggiosa. Ma l’amore che provavo per Enzo era anche pregno di stima e riconoscimento di quei valori che era impossibile non riconoscergli”.
Ad oggi, seppur con meno clamore mediatico, vicende come quelle di Enzo Tortora accadono ancora. La giustizia italiana non ha imparato nulla da quella vicenda?
“Una volta Gian Carlo Caselli (procuratore capo di Torino) disse: “In Italia, l’errore giudiziario è fisiologico”. Ecco diciamo che questo principio applicato alla giustizia un po’ mi spaventa. Perché nel giudicare una persona non ci dovrebbe essere nessun errore di sorta. Questo libro vuole essere un monito non solo per la magistratura, ma anche per tutta la classe politica. Spero che entrambe, e soprattutto la stragrande parte della magistratura per bene, decidano di fare delle riforme per migliorare il loro lavoro e far recuperare quella fiducia ormai persa nella giustizia italiana”.
In effetti, l’errore giudiziario sarà pure fisiologico come dicono, ma di fatto si distrugge la vita di una persona. E’ questo che vuole dire lei con il suo libro?
“Guardi la pubblicazione di questo libro non è assolutamente una campagna contro la magistratura, tutt’altro. Diciamo è più un monito a non ripetere gli stessi errori in un’epoca, la nostra, in cui stiamo assistendo sempre di più ad una vera crisi di valori soggettivi in cui gli stessi cittadini sono dominati da un’insana rassegnazione. Dovremmo essere noi stessi a volere e pretendere a gran voce una giustizia più giusta”.
Quando Tortora fu arrestato il nostro Paese si è subito diviso fra innocentisti e colpevolisti. Fino al giorno prima professionista stimato e apprezzato, poi sbattuto in prima pagina come il peggior delinquente mai esistito. Un esame di coscienza dovrebbero farselo tutti, non crede?
“La stampa con Enzo non si è risparmiata, nel bene e nel male. Senza voler generalizzare, ancora oggi vedo nel giornalismo di cronaca nera una certa tendenza all’approssimazione. Una mancanza di professionalità. In pochi approfondiscono veramente il caso di cui andranno a parlare. Prendono per oro colato ciò che viene inviato loro dalla Procura, senza chiedersi se i fatti sono davvero così. Basta vedere lo scempio di casi giudiziari portati in televisione, la quale è diventata ormai una vera e propria gogna mediatica”.
In effetti a sbattere un nome in prima pagina, magari con accuse gravissime non ci vuole niente. Peccato che non si faccia altrettanto quando quella stessa persona viene poi prosciolta e giudicata innocente. E’ il caso di Francesco Raiola , un militare salernitano che nel 2011 è finito, esattamente come il suo compagno in una retata dove 73 persone sono state arrestate per traffico di droga. Una di quelle era completamente estranea ai fatti. Raiola appunto. Ora prosciolto e giudicato innocente ha addirittura ricevuto un doppio indennizzo come risarcimento del danno sbito da questo errore giudiziario. Non sembra essere cambiato nulla, non trova?
“A quanto pare, no. E nessun indennizzo o scuse restituiranno ciò che è stato tolto a quel ragazzo. Ed è proprio questo muro di silenzio che con la testimonianza di Enzo, attraverso le sue parole, si vuole squarciare”.
A proposito di scuse, finalmente dopo tanto tempo le sono arrivate anche quelle da parte di Diego Marmo, il pm che fece condannare Tortora e che ha ammesso che usò termini impropri facendosi prendere dalla foga del momento, non giudicandolo obiettivamente. Le ha accettate?
“Le ho rispedite subito al mittente. Accusò Enzo di essere un camorrista, un “cinico mercante di morte” eletto con i voti della camorra. Mi ricordo ancora oggi le sue bretelle rosse, i suoi toni esacerbati e esasperati tanto da avere la bava alla bocca. Un giustiziere che trattò il mio compagno come un nemico da sconfiggere e abbattere in quello che a tutti gli effetti è stato un processo farsa”.
Lei si oppose, tramite la stampa, anche al fatto che l’ex pm volesse accettare la nomina ad assessore alla Legalità di Pompei, giusto?
“Si. E inoltre avrei voluto chiedere personalmente al sindaco Uliano: “Nominerebbe mai assessore ai Lavori pubblici un ingegnere che ha costruito un ponte che è crollato il giorno dopo l’inaugurazione?”. Marmo ha distrutto lo stato di diritto e non è degno della toga che un magistrato onesto indossa. E le sue scuse, in cui cercava di riabilitare la memoria di Tortora, sono arrivate solo per profitto personale”.
Tornando a Raiola, il ragazzo vittima anch’esso di un altro errore giudiziario e di cui le parlavo prima, sa da chi fu diretta l’attività investigativa coordinata allora dai magistrati della Procura della Repubblica di Torre Annunziata?
“No, mi dica”.
Dall’ex pm Diego Marmo. Senza entrare nel merito e assolutamente senza fare accuse allo stesso per come sono andate le vicende processuali, uno strano caso del destino, non trova?
“Guardi, destino o meno per quanto mi riguarda Diego Marmo dovrebbe solo ritirarsi a vita privata”.
Con il suo libro che messaggio spera di dare, lasciare ai lettori e cittadini italiani?
“Tortora ancora oggi rappresenta un ottimo esempio di onestà, coraggio e forza. Una forza enorme che potrete ritrovare in ogni sua parola. Come quando gridava a gran voce.: “Io non posso chinare la testa. Io uscirò a testa alta. Voglio la verità e la voglio in piedi”. Dobbiamo cercare di cambiare le cose. La magistratura deve smettere di trincerarsi dietro il principio costituzionale del codice”.
Anche la politica deve ravvedersi in qualche modo?
“Ad oggi la politica non ha cultura né coraggio. Ormai sono tutti arroccati nelle loro posizioni di privilegio. C’e bisogno di una riforma strutturale dei principi per risolvere il problema carcerario. Serve un nuovo codice penale e riforme alternative al carcere. Abbiamo una classe politica non degna di rappresentarci e noi stessi non abbiamo consapevolezza di chi votiamo”.
C’è speranza che errori giudiziari come quello di Enzo Tortora non accadano mai più?
“Purtroppo le cronache sono piene di errori giudiziari. E nessuno mai potrà risarcire queste persone dei danni morali, fisici ed economici subiti. Aspettando che cresca questa generazione del futuro noi italiani dobbiamo prendere coscienza e consapevolezza civica sia per quanto riguarda la giustizia che la politica”.
È arrivato il momento di far sentire la nostra voce?
“Si, noi italiani dobbiamo cominciare a indignarci e dire basta. Se riusciremo davvero a manifestare questa indignazione a far riflettere non solo la magistratura, ma anche la classe politica, gli avvocati e i giornalisti ad avere una visione più obiettiva, vera ed umana sui casi che vanno di volta in volta a trattare possiamo sperare che non ci siano più errori giudiziari. Possiamo sperare che il muro di silenzio su ciò che è accaduto ad Enzo cessi di esistere”.