Donato Capece, in qualità di segretario generale del sindacato di Polizia penitenziaria (Sappe), da tempo segnala il rischio radicalizzazione nelle carceri italiane. A che punto è la questione?
“Siamo abbastanza preoccupati, il rischio è fondatissimo. Sappiamo bene che i terroristi non si formano da mattina a sera, ma è nelle carceri che potremmo vedere i futuri terroristi del domani. Lo abbiamo visto anche nelle carceri europee. I protagonisti degli atti terroristici vengono da quelle realtà penitenziarie”.
Come si attiva il meccanismo della radicalizzazione in carcere?
“Questi soggetti a rischio vivono nelle sezioni detentive assieme agli altri, con una vigilanza attenuata il rischio di contatti con chi fa proselitismo è alto. Stando tutti insieme nella stessa sezione, il soggetto più debole viene agganciato e spinto alla radicalizzazione”.
Ha parlato di vigilanza attenuata nelle sezioni detentive. In che senso il rischio sarebbe legato a questo fatto?
“Il rischio resta alto per l’attenuazione dell’esecuzione penale. Siamo passati da una vigilanza statica a una dinamica. Vale a dire che la presenza del poliziotto è discreta e non più presente continuativamente nelle carceri”.
Dal punto di vista numerico invece gli agenti sono adeguati al numero e all’importanza dei detenuti?
“Purtroppo le carenze di organico si riflettono anche in questo settore. Se prima al cospetto di detenuti particolari la norma prevedeva l’impiego di due unità, ora una sola unità deve provvedere a tutto. Gli agenti sono notevolmente diminuiti a causa dei tagli che ha fatto la politica, soprattutto ai danni delle assunzioni della Polizia penitenziaria”.
Con il profilo che mi ha descritto esistono delle realtà più a rischio delle altre?
“Diciamo che tutte le realtà sono a rischio. Quando si lavora a tutele minime di sicurezza si può compromettere l’efficacia e l’efficienza del servizio, sia per i detenuti che per gli agenti”.
Il carcere di Rossano, in Calabria, è un esempio di super-istituto che raccoglie vari condannati per terrorismo internazionale. Chi sono i terroristi lì detenuti e come vengono sorvegliati?
“A Rossano sono detenuti un membro dell’Eta (organizzazione terrorista- separatista attiva in Spagna) appoggiato qui da noi in attesa di estradizione, 19 islamisti e un attentatore condannato per associazione terroristica a Bergamo. Nella struttura abbiamo potenziato il servizio, c’è un reparto di Polizia penitenziaria specializzato nella sezione in cui vi sono i detenuti islamici. Lì abbiamo creato anche sale culto per esempio. L’amministrazione sta provvedendo a corsi di formazione per arginare chi soffia sul fuoco del radicalismo e contamina gli altri detenuti. In tal caso, se l’agente segnala questo comportamento, il soggetto viene sottratto e messo in un altro istituto a più stretta sorveglianza”.
Rossano è un’area a rischio?
“Rossano è un caso circoscritto quindi tutto viene tenuto sotto controllo. Rimane il fatto che questo viene fatto grazie all’abnegazione di uomini e donne della Polizia penitenziaria. Fino a quando dobbiamo continuare a sopperire noi alla mancanza di politica più attenta verso la sicurezza nelle carceri?”.
Cosa può fare la politica per risanare il sistema carcerario italiano?
“Il governo, più volte ne abbiamo parlato ma ha fatto toccata e fuga, deve mettere mano a una riforma sostanziale del carcere. Puntare su una detenzione legata al territorio e allo sconto della pena, anche tramite i domiciliari e le misure alternative, per la microcriminalità. Il carcere va riservato ai recidivi, cioè a chi sceglie di delinquere ripetutamente, e alla criminalità organizzata”.
Lei che soluzione propone per ovviare all’allarme della radicalizzazione?
“Noi abbiamo delle isole che potrebbero aiutare nell’allontanamento dei soggetti più a rischio dagli altri detenuti. Una volta individuati quelli che professano un aspetto violento legato alla religione, vanno isolati e recuperati al rispetto delle regole tramite il lavoro. Così da non essere vittime della radicalizzazione ed essere utili a se stessi e alle proprie famiglie”.