Pubblichiamo la nota dell’Associazione Stampa romana
“I conti di Gianni Zonin e della Banca Popolare di Vicenza sono un segreto di Stato” e il giornalista che ne ha scritto è stato destinatario di un decreto di esibizione atti e/o perquisizione nella sua abitazione.
La storia è quella del collega Francesco Bonazzi, freelance che ha firmato una serie di inchieste su “La Verità”. E lui stesso l’ha raccontata in un video denuncia rilanciato dal blog del Movimento Cinque Stelle. Un caso che, purtroppo, arriva dopo altri analoghi, anzi identici, come quello di Nicola Borzi de “Il Sole 24 Ore” di una settimana fa, e quello di Gianluca Paolucci de “La Stampa” (cui fu contestata la violazione del segreto istruttorio per la vicenda Unipol), in un crescendo di azioni legali, in questo caso iniziative della magistratura, che nei fatti impediscono il proseguimento del lavoro d’inchiesta giornalistica.
L’articolo “incriminato” di Francesco Bonazzi è stato pubblicato mercoledì della scorsa settimana su La Verità, il giornale diretto da Maurizio Belpietro, e come lo stesso giornalista riferisce nel video, dopo la pubblicazione della notizia sul ruolo della Popolare di Vicenza “quale banca ufficiale dei servizi segreti italiani e poi anche banca della Presidenza del Consiglio”, venerdì scorso la redazione milanese de “La Verità” è stata oggetto di decreto di perquisizione della Procura di Roma. Lo stesso per la casa romana del giornalista, che per evitare il sequestro di telefonini, pennette, memorie esterne e altri strumenti di lavoro, si è visto costretto a consegnare due pennette con il materiale dell’articolo. Del resto si procede per violazione del segreto di Stato, reato punito fino a 10 anni di reclusione.
E’ evidente, come già denunciato da altri giornalisti, che in questo modo viene messo a rischio il segreto professionale perché tra i contatti del cronista ci potrebbe essere la fonte delle informazioni oltre ai dati personali e familiari, dunque sensibili. Lo stesso Bonazzi alla fine del suo video parla chiaramente di un tentativo di intimidazione. Certamente si è di fronte ad una grave ingerenza nel lavoro professionale del giornalista che ha, in fondo, riportato una notizia di (rilevante) interesse pubblico, vera ed espressa in modo continente, perché la vicenda della Popolare di Vincenza è anche oggetto di indagine giudiziaria.
Bonazzi osserva con una certa amarezza: “A poter fare i giornalisti di inchiesta siamo rimasti in pochi, e ancor meno sono quelli che incrociano esperienze di giudiziaria con competenze economico-fnanziarie, ma come nel caso di Paolucci, è evidente che si stanno stringendo sempre più gli spazi di azione”. Non solo, ma il collega aggiunge che “alcuni, come il sottoscritto, devono fare questo mestiere da freelance, con nessuna tutela se non quella dell’Ordine e del sindacato, esposti a querele miliardarie e ad azioni della magistratura talvolta oggettivamente intimidatorie”. “Eppure – conclude Bonazzi – a milioni di persone interesserebbe capire che cosa c’è veramente dietro alle crisi bancarie, come Mps, Carige, Pop Vicenza e Veneto Banca, e che cosa assicura l’impunibilità di certi banchieri”.
Al di là di qualunque altra considerazione, il sequestro (ormai ripetuto) di strumenti di lavoro va ad aggiungersi alle molteplici altre azioni di limitazione della libertà dei giornalisti. Si va dalle aggressioni fisiche (caso Ostia e molti altri), alle querele bavaglio e ora persino alle perquisizioni domiciliari. Siamo di fronte ad una lesione palese del libero lavoro dei cronisti e del diritto dei cittadini a essere informati che, oggettivamente, non è più tollerabile. A Francesco Bonazzi e alla redazione de “La Verità” va la solidarietà di Stampa Romana, che da quattro anni si occupa della sempre minore agibilità dell’informazione nel Lazio e nel Paese tutto.