È difficile spiegare come persone che ricoprono incarichi di prestigio al servizio dei cittadini di un’intera nazione possano farsi plagiare da estremisti di cause, non certo proprie del nostro Paese, e ne vengano sopraffatti, affascinati, se non addirittura sostenitori. Per tentare di fornire un’adeguata spiegazione occorre partire dal principio.
L’evoluzione dell’associazionismo arabo-islamico
Dalla metà degli anni ’90, nella nostra Penisola si comincia a sviluppare un nuovo fenomeno strettamente connesso a quello dell’immigrazione dai paesi del Maghreb: l’associazionismo islamico. Iniziano a nascere un innumerevole quantità di moschee clandestine, di associazioni islamiche con connotati legati a fattori di credo e di appartenenza etnica e di Onlus dagli scopi oscuri per il sostegno a gruppi allora semi-sconosciuti operanti nel Medio Oriente.
Nella Capitale, in particolare, il luogo di culto principale per i fedeli dell’Islam è rappresentato dalla grande moschea, nata dalla collaborazione tra finanziatori sauditi, ‘clero’ egiziano e contributo del regno del Marocco. Ma dall’inizio del nuovo millennio, la frequentazione dell’unico luogo di preghiera ufficiale in tutta Italia, diventa un punto di ritrovo scomodo per elementi in fuga dai Paesi di origine in quanto ricercati per attività terroristiche, magnanimamente accolti nel nostro Paese come “rifugiati in cerca di asilo”. Alcuni di loro riescono addirittura nell’intento di creare nuovi luoghi associativi con annesse sale di preghiera, con caratteristiche che mutano improvvisamente da “islamiche” a “islamiste”. Il fenomeno delle “moschee garage” cresce a dismisura e solo successivamente ai fatti dell’11 settembre 2001 inizia a preoccupare le autorità delegate alla sicurezza.
Nel frattempo il numero di clandestini aumenta e molti di loro, dal passato oscuro, si aggregano ai gruppi filo-jihadisti che offrono supporto logistico ai militanti affiliati sino dal periodo della guerra dei Balcani.
Ma se dal nord Africa l’arrivo di personaggi in odore di terrorismo è eclatante, dal Medio Oriente il fenomeno è sotto traccia, anche se attivo sin dagli anni’70 e, successivamente, con il “lodo Moro” che consentì il libero transito di militanti delle fazioni terroristiche palestinesi in cambio dell’immunità dell’Italia da azioni violente sul territorio nazionale. Ma questa è un’altra storia.
Dal Libano e dalla Giordania arrivano, quindi, soggetti sconosciuti ai data base delle polizie europee che, diversamente dai maghrebini, intessono una fitta ragnatela di contatti, anche autorevoli, che consentono loro di muoversi in tutta scioltezza e di creare attività di sostegno ai gruppi operanti in Medio Oriente in funzione anti-israeliana, in nome di un nemico comune, in questo ottenendo il plauso di buona parte della sinistra italiana.
Un’altra componente, anche se minoritaria, è rappresentata dai fedeli di credo sciita, quasi tutti di origine iraniana o siriana, ai quali si aggregano i convertiti italiani con una caratteristica comune: sono per lo più ex appartenenti a gruppi estremisti della destra neonazista o della sinistra eversiva.
E il ruolo dell’Italia come snodo logistico, si rafforza grazie alle debolezze delle investigazioni e della certezza dell’impunità.
Fioriscono così punti di raccolta ed invio fondi con metodologie diversificate. Mentre verso il Sahel e il Medio Oriente si utilizza il trasferimento “hawala” (dall’arabo scambio o trasformazione), non tracciabile poichè basato su una rete fiduciaria di intermediatori (hawaladar), le somme dirette verso persone giuridiche, ancorché completamente sconosciute in Occidente, avvengono tramite un mero invio di denaro a mezzo di “money transfer”.
Diverso il discorso per le realtà associative e le Onlus. La raccolta di elemosine (zakat) effettuata presso le diverse associazioni islamiche viene inviata nei punti di destinazione in maniera del tutto trasparente ma, anche in questo caso, verso realtà non certo identificabili se non nei casi di enti governativi riconosciuti. Stesso discorso per le pseudo associazioni dedite al sostegno della causa palestinese. I finanziamenti giungono quasi sempre in Libano dove, a Beirut, agiscono società di copertura gestite da Hezbollah o Hamas che, dopo la “consistente scrematura” in favore dei vertici, utilizzano le somme allo scopo di acquistare armi o pagare i miliziani devoti.
Proprio verso quest’ultima caratteristica propensione dell’associazionismo islamico, si è dedicata l’attività di numerose Procure italiane, in primis quella di Genova che, a seguito di una articolata indagine denominata “Collette del terrore”, iniziata nel 2001, aveva indagato sul conto dell’Associazione benefica di solidarietà con il popolo palestinese, ben radicata sul territorio nazionale, diretta da un architetto giordano-palestinese Mohammad Hannoun (presidente anche dell’Associazione dei palestinesi in Italia), con al suo fianco l’onnipresente Suleiman Hijazi, braccio destro del presidente.
L’Associazione Benefica di Solidarietà con il Popolo Palestinese (ABSPP) Onlus, è rappresentata da un logo con la mappa della Palestina che copre totalmente lo Stato di Israele di cui evidentemente auspica la cancellazione e ha sedi in quasi tutta Italia. L’ABSPP molto vicina ad Hamas, organizzazione terroristica e propaggine dei Fratelli musulmani, nell’aprile 2017 ha organizzato il Festival della Solidarietà Palestinese a Milano, Brescia e Verona. In tale occasione è intervenuto, oltre all’imam integralista, Riyad al-Bustanji e al deputato Manlio Di Stefano, già sottosegretario agli esteri, anche Mohammad Moussa Al Sharif, teologo islamico saudita che ha difeso i matrimoni con bambine sotto i 14 anni e accusato cristiani, atei e fornicatori di essere una minaccia ai diritti umani.
L’informativa sull’accaduto è andata a confluire nel fascicolo della Procura di Genova che, a seguito delle investigazioni, nel dicembre 2021 ha disposto il congelamento dei conti bancari dell’associazione per “transazioni sospette” in particolare verso persone fisiche e giuridiche inserite nella “black list“ di UE – USA e ONU, con la relativa segnalazione all’antiriciclaggio e all’Associazione bancaria italiana. Hannoun viene indagato anche per associazione con finalità di terrorismo ed eversione dell’ordine democratico.
Ma le indagini vengono archiviate poichè non vengono accertate le identità reali dei soggetti destinatari delle “rimesse” verso il Medio oriente.
Le attività dell’architetto giordano proseguono con numerose trasferte a Gaza e in Libano dove si fa immortalare con “mostri sacri” dell’islamismo più radicale tra i quali Ismail Haniyeh, considerato il leader di Hamas, mentre altre immagini lo ritraggono con Khaled Mesh’al, ricercato a livello internazionale e rifugiatosi in Qatar.
Ma ben altri mostri appaiono a fianco di Hannoun
Non nuovi ad uscite anti-israeliane, esponenti della sinistra italiana hanno manifestato il loro pieno appoggio alle attività dell’associazione retta da Hannoun, arrivando ad ospitarlo nella sede della Camera dei deputati. Tra questi Laura Boldrini, strenuo difensore di cause a lei ignote, Nicola Fratoianni, Matteo Orfini e Stefano Fassina, sempre alla ricerca di consensi, Alessandro di Battista e Manlio Di Stefano, pentastellati in cerca di palcoscenico.
E in un periodo caratterizzato da una campagna elettorale disastrosa per i sinistroidi, lo stesso Letta ammette il rischio che la comunità ebraica italiana in toto scarichi i dem proprio a causa delle frequentazioni dei suoi esponenti.
Abitudini malsane poiché non certo “superficiali” o “incoscienti”, ma consce di abbracciare un eventuale bacino elettorale inesplorato e di un appoggio da parte della nutrita comunità arabo-islamica residente in Italia.
Ed anche sull’argomento elezioni, Hannoun, in un post sulla sua pagina Facebook, mette le mani avanti. Lo riportiamo integralmente:
“In merito all’articolo di Libero del 23/8/2022, dal titolo “Frequentazioni pericolose. Boldrini incontrava l’amico di Hamas”, rispondiamo quanto segue:
1) invitiamo tutti i partiti e movimenti italiani a non coinvolgere la Questione Palestinese nella campagna elettorale in corso in vista delle elezioni legislative italiane di settembre. Si tratta, infatti, di una questione sulla quale l’ONU si è espressa con 70 risoluzioni – tutte disattese da Israele.
2) Coinvolgere o attaccare la Palestina con certe accuse e calunnie e usare termini come “antiebrei” o antisemiti è scorretto, errato e improprio: vogliamo ricordare che anche i Palestinesi sono semiti e che gli ebrei, al pari di cristiani e musulmani, sono “genti del Libro”, e rispettati come tali.
3) Le nostre associazioni, menzionate calunniosamente nell’articolo, lavorano da 30 anni in Italia nel rispetto delle leggi italiane.
Le associazioni palestinesi in Italia sono legali e lavorano nel rispetto delle leggi italiane e nella totale trasparanza.
I progetti umanitari gestiti dall’ABSPP-odv sono progetti dedicati al 100% a sostenere i bisognosi, come indicato sul sito web e nelle varie brochure.
Nessun denaro è mai finito nelle tasche dei partiti palestinesi.
4) La procura di Genova chiese e ottenne l’archiviazione del caso a cui si fa cenno nell’articolo di Libero.
Pertanto, i due giornalisti autori dell’articolo vanno a ripescare informazioni su un caso archiviato, in violazione della deontologia giornalistica – diritto all’oblio, all’onore e alla tutela della reputazione, sanciti dalla Costituzione italiana e dall’Ordine dei Giornalisti – per finalità di campagna elettorale.
5) Per quanto riguarda i nostri orientamenti politici, noi sosteniamo i diritti politici palestinesi, tra cui il diritto al ritorno, sancito dalle risoluzioni ONU: invitiamo, pertanto, tutti i politici italiani a rispettare la Costituzione italiana e il diritto internazionale, e a rispettare le risoluzioni ONU in riferimento alla Palestina. Rigettiamo, inoltre, il tentativo propagandistico elettorale di etichettare e screditare i movimenti politici che sostengono i diritti palestinesi…
6) L’arch. Mohammad Hannoun si riserva di tutelare la sua immagine e quella dell’Abspp nelle sedi competenti e chiede la pubblicazione di questa lettera in attuazione del diritto di replica.”
Abbiamo volutamente riportato il testo integrale della dichiarazione del presidente dell’Abspp per non negare il suo diritto alla difesa, ma anche per ribadire che vi è un diritto di cronaca volto ad evidenziare come l’atteggiamento di certi politici italiani ed il loro approccio verso la questione mediorientale risente spesso di ampie lacune informative.
La “Palestina”, terra e non stato, non ha alcuna origine araba o islamica, non viene citata né nella Bibbia né dal Corano, ma semplicemente era un’area geografica che, nella Bibbia, assume il nome di Eretz Ysrael (terra di Israele). Con il termine palestina, gli antichi romani chiamarono le terre devolute ai nativi della terra che fu “Erez”, i Filistei, dal nome di una tribù scomparsa ai tempi del profeta Amos poichè sottomessa dal Re David. L’imperatore Adriano impose questo nome in spregio alle popolazioni ebraiche, originarie dei luoghi da 2500 anni prima, ribellatesi all’impero e sconfitte in battaglia, ma non sottomesse al volere di Roma.
Dal IV secolo d.C. la regione si chiama convenzionalmente Palestina, ma il suo nome originario è “terra di Canaan”, o “terra di Israele”.
La Terra di Israele diviene “Stato” nel 1948 rappresentato dalla bandiera con la Stella di David realizzata nel 1907.
Come fonte “imparziale, riportiamo quella di www.testimonianzecristiane.it/teologia/vocabolario/palestina.htm.
E senza commentarle, vogliamo proporre alcune immagini provenienti da Gaza e dalla Cisgiordania che potrebbero far riflettere sulle capacità di rendere la situazione dei “palestinesi” oltremodo grave rispetto alla realtà dei fatti, con particolare riferimento alle condizioni di vita dell’infanzia, non certo sottoposta a soprusi dai presunti “assedianti”, semmai da qualche frangia estremista molto vicina ai politici nostrani.