Ofcs.report ha approfondito il problema dell’amianto con Giorgio Zampetti, responsabile scientifico di Legambiente, (l’organizzazione ambientalista con la maggior diffusione e presenza sul territorio italiano), che si occupa da sempre di questo tema, attraverso diverse e mirate campagne informative e relativi dossier scientifici.
In questi ultimi giorni a Roma ha destato clamore la notizia della chiusura immediata di un asilo, “La Magnolia” , nel quartiere Pigneto. Si è rivelato, infatti, dopo un sopraluogo di routine della Asl, il rischio sanitario da amianto, a causa della composizione del linoleum che copriva il pavimento. Questo nel quartiere Pigneto, ma allo stesso tempo, al Trullo, i cittadini denunciano da tempo l’inquinamento ambientale da amianto dell’ex caserma Donato dove sui tetti si registrano 600 metri quadri di questo dannoso materiale. Che situazione reale c’è nella capitale?
“A Roma, purtroppo, questi sono solo alcuni dei casi di cui si è venuti a conoscenza. Come abbiamo riportato anche in diversi dossier, sparse per la capitale ci sono diverse strutture pubbliche con coperture dei tetti, e non solo, in eternit. Nelle scuole soprattutto non è un caso la scoperta di presenza di amianto come nel caso dell’asilo in questione. Durante l’anno molte volte diversi istituti vengono chiusi per controlli e seguenti bonifiche”.
Come è possibile questo?
“L’amianto è presente molto più di quanto noi crediamo e non solo nei grandi edifici pubblici o edifici privati quali capannoni industriali o caserme. L’amianto “domestico” è presente in tantissimi edifici e abitazioni private, come i condomini per esempio. Lo ritroviamo nelle vecchie canne fumarie, nei cassoni dell’acqua, nei pavimenti e nelle tubature. Questo perché durante gli anni 60 e 70 era uso utilizzare spesso, questo tipo di materiale”.
Materiale che da allora non è stato rinnovato o bonificato, giusto?
“Il primo ostacolo a questo, è il non riuscire a fare un censimento accurato. Non parlo solo di Roma, ovviamente, ma in tutta Italia.Riconosciuta la pericolosità dell’amianto, ed in attuazione di specifiche Direttive CE, lo Stato italiano con la Legge n. 257 del 27 marzo 1992 ha dettato norme per la cessazione dell’impiego e per il suo smaltimento controllato. Questa legge prevede, tra l’altro, il censimento degli edifici nei quali sono presenti materiali o prodotti contenenti amianto libero o in matrice friabile, con priorità per gli edifici pubblici, per i locali aperti al pubblico o di utilizzazione collettiva e per i blocchi di appartamenti. Anche il DPR 8 agosto 1994 prevede il censimento degli edifici nei quali sono presenti materiali o prodotti contenenti amianto libero o in matrice friabile. A tal fine occorre fornire almeno i seguenti elementi informativi: dati relativi al proprietario dell’edificio, dati relativi all’edificio, dati relativi ai materiali contenenti amianto”.
La legge c’è e prevede questo tipo di censimenti, ma allora perché non vengono attuati?
“Purtroppo l’iter è molto lungo ed in certi casi anche dispendioso in termini economici. Questo demotiva sia i proprietari di edifici pubblici e privati, che gli stessi cittadini. Servirebbe un’adeguata semplificazione degli interventi che devono comunque fare il loro iter: sopralluogo da parte della Asl di riferimento, certificazione da parte dell’azienda o del privato, fino ad arrivare alla rimozione e smaltimento del materiale. E la pericolosità sta proprio in questo ultimo passaggio. In molti infatti lo smaltiscono illegalmente ed è lì che diventa letale”.
A Roma per esempio non è presente nessuna struttura per lo smaltimento dell’amianto. Di fatto questo non aiuta, non crede?
“Purtroppo è vero. Il Lazio è molto indietro. Inoltre non esistono impianti o discariche per smaltimento dell’amianto. Questo comporta ulteriori lungaggini negli interventi di bonifica e aumento dei costi. Al momento, infatti, l’amianto da smaltire viene portare in Austria o Germania. A Roma, come anche in tutta Italia, c’è bisogno di censire in maniera accurata regione per regione gli edifici pubblici e privati . Una soluzione da parte delle Regioni stesse sarebbe quello di attuare l’obbligo di censimento”.
Dal dossier “Liberi dall’Amianto” di Legambiente molti dei dati da voi rinvenuti sono stati registrati proprio dalle Regioni. Qualcosa quindi si muove. C’è maggiore consapevolezza di questo problema che a quanto pare riguarda tutti.
“Fortunatamente sì. E grazie ad un ottimo esempio di censimento fatto da regioni come il Piemonte e Lombardia, attraverso sopralluoghi, ma anche foto satellitari, che si è riusciti a evidenziare 300.000 siti da mettere in sicurezza e bonificare”.
Cosa c’è da fare quindi?
“Cercare di capire e avere gli strumenti più adeguati per modularli da Comune a Comune e anche per tutte le regioni italiane. Oltre a nuovi impianti di smaltimento, bisognerebbe incentivare con forme di agevolazioni economiche per le bonifiche o predisporre e distribuire kit legali adeguati per le bonifiche. E ripeto ancora una volta, la svolta ci sarebbe con una proposta di censimento obbligatorio di amianto per tutte le strutture pubbliche o private su tutto il territorio italiano”.