Un impianto di stoccaggio gpl da 9000 metri cubi di gas nel mezzo della laguna sud di Venezia. Siamo a Chioggia e il progetto, che era nato inizialmente come distributore di benzina per le imbarcazioni, è al momento ancora in fase di ultimazione, ma la fine dei lavori è prevista entro maggio. L’installazione, posizionata nel bel mezzo della laguna veneta considerata patrimonio dell’Unesco, appare sotto forma di tre grandi cisterne, che si stagliano davanti al centro abitato e diversi istituti scolastici.
Uno sfregio urbanistico oltre che ambientale, secondo molti cittadini abituati a rispettare le regole per ogni minima modifica che desiderano apportare alle loro case. Regole che, come denuncia il Comitato cittadino, non sembrerebbero essere state rispettate per l’impianto di stoccaggio che ha preso il posto di ciò che inizialmente doveva essere costruito: una pompa di benzina per il rifornimento delle barche dei pescatori e delle navi.
Una storia che inizia qualche anno fa, come spiega Maria Rosa Boscolo, braccio destro del presidente Roberto Rossi del Comitato NO deposito GPL a Chioggia.
“Tutto ha inizio nel maggio 2013, quando per il porto di Chioggia era stata presentata dalla ditta Costa Petroli, al Mise (Ministero dello Sviluppo Economico) e al Mit (Ministero dei Lavori Pubblici) la richiesta per un deposito (bunkeraggio o mega distributore) di gasolio marino da 1350 metri cubi, per il fabbisogno di carburante di navi, pescherecci, barche da diporto. La realizzazione era prevista entro 2 anni pena decadenza”.
Tutto questo era in regola e previsto nel Piano Regolatore del porto visto che, non essendoci la classica pompa di benzina per le barche dei pescatori e per quelle che riforniscono le grandi navi più distanti, questo distributore era necessario.
Ma poi è accaduto qualcosa che ha cambiato di fatto la situazione, come ci spiega Maria Rosa: “Il padrone della licenza e dei terreni che si era visto autorizzato il progetto, perché conforme con i suoi 1350 metri cubi di gasolio, vende tutto a una nuova ditta. Era l’8 aprile 2014 quando la Costa Petroli diventa Costa Bioenergie (in seguito Socogas), presentando al Mise ((Ministero dello Sviluppo Economico) e al Mit (Ministero dei Lavori Pubblici), istanza di autorizzazione per l’ampliamento di 9.000 metri cubi di Gpl per il riscaldamento e il fabbisogno energetico del Nord Italia. Le dimensioni aumentano di 9 volte rispetto il primo e cambia anche il prodotto da gasolio (liquido) a Gpl (gas)”.
Una bella differenza visto che il Gpl è un gas pesante che si propaga basso terra, estremamente esplosivo tanto che esiste una normativa specifica proprio per la sua pericolosità. La legge classifica questo tipo di depositi come a “rischio di incidente rilevante” e prevede che i siti da destinare siano lontani dai centri abitati, scolastici o da attività produttive. Insomma più che un ampliamento era stata creata una “cosa nuova” .
A quel punto, come riferito dalla Boscolo, dopo neanche due mesi (giugno 2014), il Mise avvia la procedura per la prima conferenza dei servizi, il tavolo di lavoro al quale sono invitati tutti i soggetti interessati locali, provinciali, regionali. Non vengono convocati il Ministero dei Beni Culturali e la Commissione regionale per la Salvaguardia di Venezia e della Laguna, la cui presenza sarebbe dovuta essere opportuna per tutti gli interventi piccoli o grandi a Chioggia.
“Nessuna informazione è stata data alla cittadinanza, come prevede la legge Seveso II. Un paradosso, se si pensa che ogni abitante anche solo per cambiare le finestre o dipingere la propria case deve inviare alla Salvaguardia una specifica richiesta di autorizzazione senza la quale non può far nulla”, prosegue Maria Rosa.
“Il 17 giugno dello stesso anno, c’è la prima riunione, Conferenza dei Servizi, dove partecipa anche l’Aspo (l’azienda speciale per il porto di Chioggia – istituita dalla Camera di Commercio di Venezia nel 1979 per la promozione del porto e costituita da imprenditori), che si dice d’accordo con il progetto di ampliamento. E anche qui un’altra incongruenza. Infatti, fra tutti i presenti non partecipa al tavolo di lavoro il Comune di Chioggia che manda una comunicazione scritta dell’ex dirigente dell’ufficio urbanistica, Muhammad Talieh Noori, in cui si evidenzia la conformità al piano regolatore generale e al piano regolatore del porto, in quanto ricadente in zona a destinazione bunkeraggio navi. Non solo, un altro grande assente è stata la Capitaneria del porto di Chioggia, che invia una comunicazione scritta di “non conformità” al piano regolatore del porto”.
Insomma, un paradosso. Nello stesso tavolo sono arrivate due comunicazioni in contraddizione: una che dice si, l’altra no. Ma di questa mancata approvazione non si è sarebbe tenuto conto, andando avanti solo con chi aveva dato il via libera. Nonostante la Capitaneria, che aveva espresso parere contrario sia anche Autorità Marittima e nella gerarchia degli Enti è superiore al Comune, in quanto, essendo espressione diretta del Ministero dei Trasporti, è la sola competente per il porto.
“A settembre, sempre 2014, il Comitato tecnico regionale Veneto (Commissione sulla sicurezza, composta da i vigili del fuoco, l’Arpa – protezione ambientale e il Comune di Chioggia), danno l’autorizzazione a procedere o nulla osta di fattibilità, denominato Nof. Per il Comune di Chioggia, al posto del responsabile, viene inviato un geometra che non conosceva la questione e che non ha obiettato nulla, ha firmato l’ok senza capire cosa faceva – sottolinea la Boscolo – Un’assenza ritenuta da tutti sospetta o assurda, visto che nessuno avrebbe spiegato nel dettaglio al geometra la delicata questione. Anche nelle rilevazioni dei vigili del fuoco non erano stati segnalati siti sensibili, facendo solo capire che nei dintorni dovevano essere poste limitazioni di edificabilità e servizi”. Una decisione che ha fatto molto discutere visto che nella zona ci sono 1500 abitanti, tre scuole, un centro diurno per anziani, la ferrovia, lo stadio, aziende di lavorazione dei molluschi, tubazioni del metano a rifornimento della città e una cisterna d’acqua.
“Ma questo è niente – prosegue Maria Rosa – rispetto a quando nella seduta del 28 gennaio 2015, la Commissione valutazione d’impatto ambientale (Via) è arrivata ad affermare che lo studio ambientale di Costa Bioenergie può essere considerato affidabile perché è stato fatto da professionisti. Quindi non serve nessuna ulteriore valutazione d’impatto ambientale, basta lo screening. L’esclusione della Via è subordinata alle varianti organizzative e gestionali per le navi gasiere e valutazione dell’impatto acustico. La determinazione può essere sospesa se non rispetta le prescrizioni (determina di non assoggettamento a Via numero 333/2015). Il dramma è che avendo escluso la Via non è scattata la procedura automatica di informazione alla popolazione. Insomma, non per essere per forza maliziosi, ma non si è mai trovato un oste che disprezza il suo vino”.
Le cose proseguono, con un iter burocratico veloce (08/04/2014 – 26/05/2015). A maggio, con decreto interministeriale numero 17407 del Mise e Mit, autorizza il deposito di 9.000 metri cubi di Gpl più i precedenti 1350 metri cubi di gasolio marino e altri oli.
“In questa autorizzazione non è citato minimamente il parere contrario della Capitaneria, ne hanno registrato chi ha detto che serve una variante al piano regolatore del porto perché per cambiarlo deve essere attivata una procedura che richiede tempo e deve vedere la partecipazione dei cittadini – aggiunge Maria Rosa – nel dispositivo è citata la legge numero 35 del 4/4/2012. L’attuale dirigente comunale dell’urbanistica e altri affermavano che tale richiamo fa si che l’autorizzazione comprende anche tutti i permessi non presenti e supera tutti i pareri negativi ricevuti. Ma non è così, e a dirlo non sono io ma esperti urbanisti e avvocati consultati sulla questione”.
Poi finalmente a gennaio 2016 l’ex Sindaco Casson presenta al Presidente della Repubblica un ricorso straordinario contro il deposito. La risposta del Consiglio di Stato è chiara: inammissibile. Perché presentato fuori luogo e fuori tempo, visto che doveva essere inviato al Tar entro 30 giorni dal 26/5/2015.
E fino al 2016 la cittadinanza non era al corrente di nulla. Solo a primavera, durante la campagna elettorale per il rinnovo del Consiglio Comunale, dove tutti i candidati sindaci si dichiaravano contro il deposito di Gpl, la cittadinanza comincia a capire che non si parlava più dell’approvato e regolamentare impianto di stoccaggio da 3500 metro cubi. Naturalmente l’ex Sindaco Casson, anche per le responsabilità presunte sul deposito non viene rieletto e al suo posto ora c’è Alessandro Ferro, del M5s.
Nel frattempo, a inizio estate, inizia la costruzione dell’impianto: compaiono montagne di sabbia nel sito del porto. E solo verso settembre i cittadini capiscono che servono per preparare il terreno dove saranno collocati i serbatoi .Poi a fine ottobre del 2016 arrivano i tre serbatoi via mare.
“Una vista terribile – ricorda la Boscolo – a oggi i lavori stanno continuando per consolidare i serbatoi con cemento armato. Poi dovranno essere tumulati, cioè coperti interamente e noi vedremo un muro alto circa 10 metri e lungo 60. Questo sarà il nuovo paesaggio nel tramonto della laguna veneta. Un vero e proprio scempio. E nonostante l’installazione di questi impianti preveda dei benefit per la cittadinanza, qui non hanno pagato nemmeno i piani di ammodernamento che sono stati fatti a carico del Comune, ovvero a carico nostro” afferma Maria Rosa.
Il comitato punta il dito contro chi avrebbe dovuto seguire da vicino l’iter burocratico: “Preferiamo sia la Magistratura a individuarli e far luce su tutta questa assurda situazione”.
Una vicenda questa che vede una burocrazia “insolitamente veloce” a danno della più basilare legalità.
Il Comitato No Deposito GPL a Chioggia
Insieme a Maria Rosa Boscolo, abbiamo evidenziato la situazione paradossale che vivono i cittadini di Chioggia. Motivo per il quale si è costituito appunto il Comitato NO deposito GPL a Chioggia, di cui lei è attiva partecipante insieme al presidente Roberto Rossi. Questo perché sono molteplici le criticità denunciate per via di questo impianto a 9000 metri cubi di gas.
E’ stata organizza un assemblea pubblica a ottobre scorso, dove hanno partecipato oltre 300 persone: è stata informata la popolazione grazie all’aiuto di un esperto urbanista, un ingegnere chimico e un imprenditore portuale per evidenziare i rischi, e i problemi che potrebbero essere causati dal deposito. Sono poi seguite due manifestazioni: il 19 novembre e il 17 dicembre, quando 400 persone hanno dato vita a una vera e propria catena umana. A conferma che nonostante si pensi che la gente non sia più abituata a scendere in piazza per affermare la sua volontà (specie se gli eventi non sono organizzati dai partiti o sindacati) non è così e loro ne sono la riprova concreta.
In soli sette mesi il Comitato è riuscito a raccogliere oltre 13.000 firme, su 42.100 votanti, contro la non realizzazione del deposito. Quelle dei votanti alle elezioni comunali, considerati cioè tutti i candidati sindaci sono stati 26.900.
Hanno poi inviato nove esposti, osservazioni, e denunce ai Ministeri, alla Regione, alla provincia di Venezia (oggi Città Metropolitana), e naturalmente al Comune. Sei delle quali alla Procura della Repubblica e due all’Anac di Raffaele Cantone. La Procura di Venezia ha aperto un fascicolo.
A fine marzo inoltre, il comitato farà una nuova iniziativa per approfondire insieme ai cittadini le tematiche riguardanti questo deposito gpl. Ma anche per informare i pescatori della zona. Anche loro potrebbero mostrarsi contrari quando il deposito comincerà a funzionare a pieni ritmi.