Il bilaterale richiesto da Angela Merkel a Emmanuel Macron e Paolo Gentiloni, durante il summit di Tallin, è probabilmente la prima rappresentazione plastica della percezione di debolezza che colpisce l’ormai ammaccata aurea di infallibilità che contraddistingueva la leader tedesca. Basti pensare che il primo viaggio al di fuori dei confini nazionali degli ultimi presidenti francesi e degli ultimi premier italiani, aveva avuto una sola destinazione ed un solo programma: a Berlino per relazionare alla Cancelliera. Tempi che sembrano, ormai, lontani secoli.
L’incertezza che pervade le cancellerie europee, dalle politiche sulla programmazione economica alla gestione delle crisi umanitarie, è emersa chiaramente dalla diretta voce della Merkel: “Ok alle riforme per sburocratizzare e velocizzare la macchina comunitaria ma senza fretta”. Un messaggio chiaro che svela, neanche troppo velatamente, l’impasse ancora forte che regna a Berlino. La rinuncia al mastino dei conti Schauble e la disponibilità fornita ai futuri alleati verdi e liberali a rivedere la gestione a senso unico della politica estera gettano i presupposti per l’allarme che, da giorni, suona sulle scrivanie di Parigi e Roma.
Nonostante le rassicurazioni della Merkel, dal voto tedesco l’Europa è uscita più debole. Non solo. Con il Regno Unito in uscita dalla comunità, Macron in caduta libera nei sondaggi e l’approssimarsi delle elezioni italiane oggi, l’Unione si trova a corto di punti di riferimento e di leader forti. E se il futuro non promette nulla di interessante le prossime scadenze politiche infondono sempre di più una certa preoccupazione nei palazzi di Bruxelles.
Per la prima volta da decenni l’Europa, pur uscita vincitrice, nonostante tutto, dalle competizioni elettorali con i populisti, è ora priva di una guida nazionale in grado, come ha fatto la Merkel per oltre dieci anni, di caricarsi sulle proprie spalle i pregi e i difetti di una istituzione sempre più in crisi di consenso. Il casting è iniziato. Avanti il prossimo.