Dalla Siria alla Libia, la Turchia arruola i tagliagole per supportare quel che resta del potere di al Sarraj. Il piano in fondo è semplice: ogni miliziano del Daesh ingaggiato riceve 300 dollari al momento della firma del contratto in Siria e ne riceverà 2.000 per ogni mese “di servizio” prestato in Libia, finanziati dalla Turchia e dal Gna. Un modo come un altro per smaltire i prigionieri di guerra già utilizzati in un recentissimo passato in funzione anti-curdi.
Sono ben quattro i voli che finora hanno trasportato 800 miliziani jihadisti all’aeroporto di Mitiga, a dimostrazione che il palesato intervento turco nella disputa Sarraj-Haftar, in favore del primo, viene delegato ai terroristi dell’Isis, e in alcuni casi di al Qaeda, incaricati del lavoro sporco e, probabilmente, avviati ad una severa sconfitta.
Allo scopo di arginare l’invio di truppe a difesa degli ultimi scampoli di territorio in mano alle truppe di Fayez al Sarraj, la strategia seguita dalle truppe dell’esercito nazionale libico (Lna), si è focalizzata proprio sulla conquista dell’aeroporto di Tripoli. Nella notte i militari di Haftar hanno “chiuso il cerchio” intorno al centro della capitale libica impadronendosi delle principali arterie per inibire gli accessi in città.
Ma le infiltrazioni terroristiche fomentate dalla Turchia potrebbero agire, in chiave prospettica, anche alla lunga distanza, con il consolidamento di formazioni già attive nel Fezzan in attesa di una rivincita e della riconquista di pericolosi sbocchi sul mare.
Sotto la guida del novello sultano Erdogan, la Turchia sta diventando, ma il sospetto è che lo sia sempre stato, un Paese dedito all’esportazione del terrorismo di matrice islamista, sotto la copertura di interventi mirati a restaurare l’ordine nei Paesi del Mediterraneo, e non solo.
Anche nel centro Africa sono state segnalate alcune operazioni di supporto a gruppi del network jihadista globale condotte da emissari turchi. Nel novembre scorso, il quotidiano britannico “Morning star”, ha rivelato che proprio la Turchia sarebbe finita sotto inchiesta da parte delle autorità nigeriane con l’accusa di avere fornito”armi sofisticate” al gruppo jihadista Boko Haram. Secondo le fonti interpellate dal quotidiano, la Turkish Airlines sarebbe corresponsabile nella spedizione di materiale bellico in Nigeria, come risulta da una registrazione audio del 2014, reperibile su YouTube. Nella conversazione, l’assistente esecutivo della compagnia aerea turca, Mehmet Karatas, avrebbe dichiarato a Mustafa Varank, ex consigliere di Erdogan, allora primo ministro turco, di sentirsi in colpa per la spedizione di armi in Nigeria. In particolare, la frase imputata a Karatas, “non so se queste [armi] uccideranno musulmani o cristiani. Mi sento peccatore”, sarebbe valsa a sostenere le accuse al regime di Erdogan che, ovviamente, ha respinto ogni addebito. Inoltre, il governo nigeriano, afferma che nel maggio 2017, avrebbe intercettato una spedizione illegale di armi dalla Turchia, sequestrando 440 fucili a pompa illegale nel porto di Lagos facendo seguito ad una precedente operazione condotta cinque mesi prima dove il fermo di un camion condusse al rinvenimento di altre 661 armi portatili.
Secondo i rapporti delle intelligence europee, il governo turco avrebbe commissionato anche gli attacchi suicidi dell’Isis a una manifestazione di pacifisti ad Ankara del 2015, che provocarono la morte di almeno 109 persone. Nell’agosto scorso, l’agenzia di sicurezza turca, avrebbe favorito l’ingresso di decine di ex combattenti dello Stato islamico attraverso il confine siriano per unirsi ai battaglioni impegnati nell’occupazione di Afrin, invaso dall’esercito di Ankara.
A parere del Morning star, il comandante senior dell’Isis Taha Abdurrahim Abdullah, stretto collaboratore del defunto leader dell’Isis Abu Bakr al-Baghdadi, ha affermato che Erdogan avrebbe ordinato l’attacco alla città curda di Kobane nel 2014 e, più di recente, la Turchia avrebbe stretto alleanza con i miliziani jihadisti per l’invasione della Siria settentrionale, dove si sarebbero resi responsabili di crimini di guerra, tra cui esecuzioni sommarie, stupri e uso di armi chimiche.
Un’ulteriore analisi del Gatestone institute, specializzato in geopolitica internazionale, ha confermato quanto rivelato dal Morning Star paventando, inoltre, un’inscrizione della Turchia nell’elenco degli “Stati del terrore” ed evocando sanzioni internazionali contro il Paese, anche in considerazione della protezione che il regime di Erdogan offrirebbe ad esponenti di rilievo di Hamas.
Un panorama inquietante anche in considerazione del fatto che la Turchia è pur sempre un Paese membro dell’Alleanza atlantica, sede di fondamentali basi strategiche statunitensi e, almeno fino a pochi anni fa, ritenuto un partner economico affidabile per tutto l’Occidente.