Da Israele alla Libia i Fratelli musulmani tentano la riscossa. Il primo luglio scorso numerosi razzi sono stati lanciati da Gaza in direzione delle acque del Mediterraneo. Un fatto inedito, apparentemente una celebrazione per la fine dell’anno scolastico. Nulla di tutto ciò. Gli ordigni sono stati lanciati dalle milizie palestinesi come monito verso Israele per la decisione di annettere larghe parti dei territori della Cisgiordania.
Ed è solo di ieri la notizia che le brigate Ezz Eddine Al Qassam hanno pubblicizzato il loro nuovo drone “Ababil”, affermando l’imminente produzione in serie del prototipo in tre differenti versioni, ricognizione, attacco e missione suicida. Il gruppo ha anche affermato di aver recentemente sorvolato con successo i cieli di Tel Aviv con una versione dell’Ababil.
Un’altra azione è stata condotta il 21 maggio, contro alcuni website wordPress israeliani che sono stati presi di mira nell’ambito di un cyber attack, coordinato dall’Iran, da un gruppo denominatosi “gli hackers del salvatore”. L’entità, comparsa di recente, sarebbe composta da informatici provenienti dal Maghreb, Turchia e Gaza.
Secondo la leadership di Hamas, la svolta del governo di Gerusalemme rappresenta una vera e propria dichiarazione di guerra che porterebbe all’inizio della terza intifada come riferito da Nabil Shaath, consigliere del presidente dell’Autorità palestinese Mahmoud Abbas, in una recente intervista rilasciata all’emittente televisiva France 24. L’esponente dell’Anp ha aggiunto che anche le nazioni arabe si schiererebbero a fianco dei palestinesi come già accaduto in passato.
I piani per annettere insediamenti ebraici in Giudea e Samaria, fino a un terzo della Cisgiordania, sono attualmente sul tavolo della Knesset, e integrano il progetto denominato “Pace e prosperità” condiviso con il presidente Usa, Donald Trump.
Già Il 20 maggio scorso, i leader di Hamas, Hezbollah, Asa’ib Ahl al-Haq, Houthi e Jihad islamica palestinese, avevano pubblicato un video, sottotitolato in ebraico e diffuso sui maggiori social network, per ribadire la volontà di contrasto all’occupazione israeliana e la revoca della dichiarazione di Gerusalemme quale capitale di Israele.
Più di recente, il 12 luglio, i capi militari di Hamas hanno minacciato nuovi rapimenti di soldati o civili israeliani la cui successiva liberazione entrerebbe nelle trattative per convincere lo Stato ebraico a rinunciare alle annessione di territori.
Il 10 luglio ha rappresentato una data storica per il regime di Ankara. Il Consiglio di Stato, infatti, ha autorizzato la riconversione in moschea di Santa Sofia (Ayasofya), simbolo della cristianità divenuto, dal 1453, un gioiello dell’islam e dell’impero ottomano. Per l’occasione, il presidente turco Receyp Erdogan, ha voluto rivolgersi alla nazione per annunciare la riapertura del luogo di culto per il 24 luglio prossimo spingendosi ad affermare che la “resurrezione di Santa Sofia è precorritrice della liberazione della moschea al-Aqsa”, ovvero di Gerusalemme.
L’intero tratto di discorso riferito alla rivendicazione della moschea di al Aqsa è stato volutamente tradotto dalle emittenti turche in lingua araba, ma non in inglese.
In relazione alla palesata e rinnovata volontà espansionistica, alcune fonti hanno riferito che piani avanzati di invasione di territori israeliani, sono stati elaborati dal centro di studi e consulenze militari “Sadat“, fondato nel 2012 dal generale turco Adnan Tanriverdi, attualmente impegnato sul fronte siriano, a Gaza per promuovere il riarmo di Hamas e in Germania, dove in collaborazione con il MIT (Milli Istihbarat Teskilati), il servizio segreto turco, sarebbe impegnato in alcune operazioni di spionaggio condotte a diretto contatto con l’organizzazione “Germania ottomana” operante nel Paese europeo.
Ma tra i progetti più ambiziosi elaborati dal centro “Sadat”, un posto di prim’ordine è quello rappresentato dall’Esercito dell’Islam, un’organizzazione composta dalle forze armate dei 57 paesi membri dell’Organizzazione della Cooperazione Islamica (OIC) sotto un’unica bandiera, possibilmente turca, per dare vita al più corposo esercito del Globo con oltre cinque milioni di militari.
Dal canto loro, il 20 maggio scorso, gli iraniani, per conto dell’ayatollah Ali Khamenei, hanno sostenuto che, a fronte della volontà espansionistica di Israele, Teheran sosterrà qualsiasi Paese o gruppo impegnato nella resistenza contro i sionisti. E nel computo delle minacce anti-israeliane, la guida suprema sciita ha tuonato di realizzare la ‘Soluzione finale’ per Israele ripercorrendo i piani nazisti per l’eliminazione del popolo ebraico che portarono alla Shoah.
In risposta alle minacce, il premier Benyamin Netanyahu ha dichiarato che “Khamenei deve comprendere che chiunque minacci Israele di distruzione espone se stesso ad un rischio analogo”.
Nel quadro generale della minaccia nel Mediterraneo rappresentata dai neo- condottieri islamisti, un punto focale è rappresentato dall’affaire Lybia. Il governo fantoccio del Gna, guidato da Fayez al Serraj, si inquadra in un’alleanza eterogenea composta da Turchia, Iran e Qatar, tutti impegnati nella riproposizione del modello espansionistico islamico, da Istanbul al Maghreb, già vissuto durante il califfato omayyade secoli or sono (dal 661 al 750). Per fare ciò, l’alleanza si propone, come punto cardine dei suoi progetti, la destabilizzazione del regime egiziano di Al Sisi per imporre una nuova leadership contigua alla Fratellanza musulmana. I timori de Il Cairo vanno proprio nella direzione di un’avanzata turca, filo-iraniana e della Fratellanza Mussulmana, il maggior pericolo per la stabilità della laicità dello Stato egiziano impegnato in un serio piano di sviluppo economico condotto anche con relazioni commerciali con l’Europa e Israele. Proprio nella prospettiva di un’espansione del bacino di influenza dei Fratelli musulmani, il Gna di Serraj viene sostentato dagli alleati, senza soluzione di continuità, con il continuo approvvigionamento di armamenti e miliziani provenienti dalla Siria e dall’Iraq.
Dall’altra parte dalla barricata, il generale Haftar gode del sostegno di Egitto, Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita, con il supporto di mercenari russi ingaggiati per operare in nome di Mosca a fianco dell’Lna. I territori in mano al generale libico sono considerati una sorta di trincea contro gli islamisti ritenuta idonea ad arginare il diffondersi, anche e soprattutto in Egitto, di ideologie di estrazione jihadista propagandate dalla Fratellanza. Il governo di Tobruk, impegnato strenuamente nella difesa di Sirte quale caposaldo per una positiva evoluzione del conflitto, mira decisamente ad arginare l’avanzata dei neoconquistatori turchi, la cui presenza è comunque invisa alla popolazione libica a partire dai ceti più bassi che mal sopportano l’arroganza delle truppe ottomane infarcite di un credo islamista fuori dai canoni di rispetto all’Islam moderato diffuso in Libia dai tempi del rimpianto Muhammar Gheddafi.
È di ieri la notizia che anche il regno di Giordania ha dichiarato fuorilegge, e conseguentemente sciolto, l’organizzazione islamista dei Fratelli musulmani operanti nei territori di Amman. Un fatto non certo inedito, ma rilevante se posto in relazione con il conflitto in corso in Libia ed un primo passo del sovrano Abdullah II nell’allontanamento del regime hashemita da posizioni estremiste filo-palestinesi.
La Libia rappresenterà, nei giorni a venire, un punto focale nell’ampio quadro della geopolitica internazionale, i cui equilibri potrebbero essere messi in serio pericolo da un’eventuale vittoria degli islamisti di Tripoli asserviti ad Ankara e Teheran. Lo spettro di un’espansione nel Maghreb del credo della Fratellanza musulmana è il vero rischio corso dall’Europa, e in particolare dal nostro Paese che, nel quadro della situazione prospettata, è a tutt’oggi completamente assente ricoprendo unicamente un ruolo di comparsa a fianco dell’esponente di turno. Nell’attesa, come sempre, di schierarsi infine dalla parte del vincitore.