Alla vigilia dell’incontro del primo ministro indiano Narendra Modi con Papa Francesco in Vaticano, un rapporto intitolato “Cristiani sotto attacco in India“, compilato da varie ONG cristiane, registra 300 incidenti anticristiani nel 2021. Si ritiene che il partito nazionalista indù di Modi, il Bharatiya Janata Party (BJP), sostenga la diffusione della violenza contro cristiani e musulmani. Uno dei casi esaminati è il seguente. I cristiani dello Stato del Madhya Pradesh, nell’India centrale, sono fortemente preoccupati per la campagna per la riconversione degli indigeni lanciata dagli attivisti radicali indù.
«La nostra gente è spaventata perché i gruppi radicali indù stanno facendo pressioni sui cristiani indigeni affinché abbandonino la loro fede nel cristianesimo», racconta ad Aiuto alla Chiesa che Soffre (ACS) padre Rocky Shah, addetto alle pubbliche relazioni della diocesi cattolica di Jhabua. In questo distretto a maggioranza indigena i cristiani sono il 4% della popolazione. «Gli attivisti indù stanno conducendo campagne contro sacerdoti e pastori che guidano le comunità cristiane e hanno minacciato di demolire le nostre chiese con la falsa accusa di essere costruite illegalmente sulle terre degli indigeni», prosegue il sacerdote. «Più di 300 poliziotti sono stati schierati a guardia della cattedrale cattolica e di altre strutture ecclesiali» tuttavia, prosegue padre Shah, «viene esercitata pressione sull’amministrazione [distrettuale] affinché convochi sacerdoti e pastori cristiani, chiedendo loro di certificare personalmente davanti al funzionario distrettuale se siano diventati cristiani con la forza».
Il governo del Madhya Pradesh nel gennaio 2021 ha approvato una legge anti-conversione che prevede pene detentive fino a 10 anni qualora qualcuno si converta a religioni diverse dall’induismo, in particolare cristianesimo e islam, in violazione della legge. Quella stessa legge, tuttavia, consente a chiunque di tornare all’induismo da altre religioni, definendolo un mero caso di “ghar vapasi” (ritorno a casa). Il Madhya Pradesh è tra gli otto dei 28 Stati dell’India in cui sono previste leggi anti-conversione. Altri Stati in cui è al potere il Bharatiya Janata Party stanno contemplando leggi simili.
Padre Shah crede che la nuova legge anti-conversione equivalga alla persecuzione contro i cristiani. Dopo l’entrata in vigore della nuova legge nello Stato, infatti, più di una dozzina di cristiani, compresi sacerdoti, sono stati incarcerati e gli incontri di preghiera sono stati ostacolati con l’accusa di conversione religiosa, un’accusa che chiunque può muovere senza alcuna prova. «Anche un atto di carità cristiana può essere interpretato come un tentativo di conversione», dice Shah.
«I nostri pastori stanno ricevendo una convocazione, me compreso, dall’amministrazione distrettuale per dimostrare il nostro background cristiano», ha affermato Paul Muniya, vescovo ausiliare della chiesa pentecostale Shalom con sede a Jhabua. «Sono apparso davanti al funzionario il 22 settembre, ora sono nuovamente convocato. Coglierò l’occasione per testimoniare la mia fede davanti al funzionario perché non ho nulla da nascondere», ha aggiunto.
I cristiani stanno valutando un’azione legale qualora continuino vessazioni e persecuzioni da parte dei gruppi radicali indù. «Collaboreremo con l’amministrazione perché non abbiamo nulla da nascondere”, ha affermato padre Shah, anch’egli sacerdote indigeno. «Le nostre proprietà, comprese le chiese, sono state costruite legalmente con il permesso delle autorità governative». Il sacerdote ha accusato gli attivisti indù di aver creato confusione con false accuse, come la conversione religiosa illegale e la costruzione di chiese illegali. «In molti casi i pastori riservano una stanza nelle loro case per la preghiera e questa è etichettata come chiesa illegale». Attivisti indù hanno accusato 56 leader cristiani, tra cui sacerdoti e pastori, di tentativi di conversione religiosa illegale. Le autorità locali hanno convocato diversi leader cristiani. Padre Shah, tuttavia, apprezza che i funzionari stiano esaminando la denuncia, confidando che «la verità emergerà dopo l’indagine».