In Medio Oriente è di nuovo crisi. Questa volta, senza molti precedenti. Arabia Saudita, Egitto, Emirati Arabi Uniti e Bahrein hanno deciso di interrompere le relazioni diplomatiche con il vicino Qatar. Ai quattro, da subito, si sono aggiunti anche Maldive, l’esecutivo yemenita, sostenuto da Riad con il “placet” della Comunità internazionale, e il governo libico non riconosciuto con sede ad al Baida, legato agli Emirati Arabi Uniti. L’accusa ufficiale pesa come un macigno: connivenza con il terrorismo internazionale. Tuttavia, la nuova escalation di tensione tra Doha e il resto del Golfo ha origine da un’interesse ulteriore: tentare di escludere dalla coalizione dei Paesi arabi un partner che non vuole allinearsi, soprattutto alle posizioni saudite, e che continua a collaborare con il grande avversario nell’area mediorientale: la Repubblica Islamica dell’Iran. Musica per le orecchie di Israele che da subito ha plaudito all’isolamento dello stato qatariota e l’ho ha definito “uno sviluppo positivo per l’intera regione”. “La rottura delle relazioni diplomatiche degli Stati del Golfo con Doha – ha spiegato il ministro della Difesa Avigdor Lieberman – apre nuove opportunità nella lotta al terrorismo”.
Del resto, Tel Aviv ha più di una motivazione per seguire con interesse l’offensiva contro il Qatar. Dopo Teheran, un altro aspetto potrebbe essere stravolto dallo scontro diplomatico in atto: il sostegno di Doha ad Hamas. Il Qatar, infatti, sostiene l’economia dei Territori palestinesi attraverso il finanziamento di progetti infrastrutturali e di pubblica utilità. Nel 2012, l’ex emiro di Doha, lo sceicco Hamad Bin Khalifa al Thani, aveva donato a Gaza circa 400 milioni di dollari. Nel tempo, poi, il Qatar è divenuto luogo di ospitalità per numerosi elementi di spicco del movimento fondamentalista islamico palestinese, tra cui anche Khaled Meshaal, ex capo dell’ufficio politico del gruppo, in esilio a Doha ormai da 5 anni.
A seguito del nuovo scontro diplomatico, il Qatar ha chiesto a numerosi esponenti di spicco di Hamas di lasciare il paese per dirigersi in Libano, Turchia e Malesia, riducendo di fatto il suo sostegno al movimento. Almeno nell’immediato. “E – scrive il Jerusalem Post – poiché il Qatar ha sempre sostenuto numerosi gruppi estremisti, fra cui anche Hamas, le tensioni in corso potrebbero riavvicinare Israele all’Arabia Saudita e agli altri Stati del Golfo per far fronte compatto contro nemici comuni: l’Iran e il gruppo estremista palestinese”. Negli ultimi anni le relazioni tra Tel Aviv e i paesi arabi del Golfo hanno conosciuto un netto miglioramento, ma “la crisi con il Qatar – continua il JPost -potrebbe favorirne un più facile consolidamento”. Anche grazie al sigillo di Washington.
Da Tel Aviv, infatti, c’è chi spiega la decisione del presidente degli Stati Uniti Donald Trump di non spostare, per ora, l’ambasciata Usa in Israele da Tel Aviv a Gerusalemme, come un dono all’Arabia Saudita per gli oltre 100 miliardi di dollari che il regno dei Saud spenderà in armi statunitensi. Un prezzo che il governo Netanyahu ha pagato, ma solo in apparenza, storcendo il naso. In realtà l’esecutivo israeliano spera che il sacrificio sia ricompensato con una politica araba e statunitense di scontro duro con Tehran fino alla realizzazione del sogno del congelamento dell’accordo internazionale sul nucleare iraniano firmato due anni fa.
La tempistica con cui la rottura tra Doha e il resto del Golfo è avvenuta non è un caso: è la prima conseguenza della visita a Riad di Trump. L’Arabia Saudita, infatti, sembra non aver gradito il mancato sostegno del Qatar alla linea apertamente anti-iraniana sancita dal summit dello scorso 18 maggio. Linea che ha ottenuto, però, il pieno sostegno di Washington, e ha conferito di conseguenza ai sauditi “l’autorità” di mettere a tacere chiunque non la pensi allo stesso modo. Qatar compreso.
Tuttavia, quello che il Tyccon del Queens non aveva previsto è che il cambio di rotta imposto dalla nuova amministrazione alle politiche statunitensi nell’area (linea dura con l’Iran e consolidamento dell’alleanza con Israele e le monarchie del Golfo) piuttosto che creare le basi per una “Nato araba” contro l’Iran, ha innescato un regolamento di conti tra l’Arabia saudita e il Qatar, sostenitore dei Fratelli musulmani, storici nemici di Riad, che lacera lo schieramento sunnita. Lo scontro resta aperto. L’intento di Riad è uno solo: tenere il Qatar fuori dall’orbita del regime sciita di Teheran.