a cura di Marco Rocco
Partiamo dai fatti: gli Usa stanno accumulando più o meno dalla fine degli anni ’70 deficit commerciali enormi, causando un enorme indebitamento dell’economia a stelle e strisce oltre ad implicare una deriva verso una deindustrializzazione tanto acuta da mettere in discussione la supremazia economica globale americana. Gli effetti sono stati particolarmente accentuati post accordo del Plaza (inizio anni ’80) , dove il dollaro trovò il supporto internazionale con il fine di abbattere l’inflazione alzando i tassi oltre al 10%, ma senza aumento del dollaro teoricamente dovuto in forza del differenziale tassi (…). Lo stesso supporto internazionale oggi è pressochè inesistente, costringendo Trump ad azioni di ritorsione (svalutazione forzata del dollaro ma non solo, anche dazi, protezionismo ecc.). Da questa guerra tutti hanno da perderci, vero, ma semplicemente, i più grandi perdenti non saranno gli Usa ma gli esportatori seriali, ossia nell’ordine Germania e Cina.
Trump domani parlerà a Davos
Trump domani parlerà a Davos, accompagnato – prima volta in assoluto che succede – da una delegazione di Ministri mai vista: Mnuchin (Tesoro), Ross (Commercio), Tillerson (Esteri). Interessante che già dal primo giorno dei lavori sia Mnuchin che Ross si siano espressi chiaramente per un dollaro debole, senza se e senza ma.
La paura del mondo globalizzato – ossia quello che ci guadagna dalla globalizzazione e soprattutto dall’aver gli Usa come consumatori di ultima istanza, che si indebitano con il fine di importare beni di consumo – è di perdere il proprio benessere. Ossia la pace sociale interna. Cina ed Europa tedesca hanno accarezzato l’idea di sostituirsi agli Usa come dominus se non globale quanto meno regionale, sogno possibile durante l’era Obama. Chiaro, tale imprimatur deve passare dal dominio economico di intere regioni, per questa ragione la sfida economica sulla base dell’uso delle valute come arma di esportazione era ed è inevitabile.
L’idea degli sfidanti era quella di far continuare gli Usa ad indebitarsi, all’infinito. Chi ha fatto questi conti ha sbagliato grossolanamente, almeno con Trump presidente (che non ha bisogno di essere pagato con daddy money, la paghetta, per andare contro gli interessi americani, frasi di Donald J. Trump a Al Waleed prima delle elezioni presidenziali Usa).
Or dunque a Davos domani ci sarà lo showdown che tutti temono: Trump dirà chiaramente che il dollaro deve svalutarsi, nella sostanza. Ma non è questo a spaventare i mercati, si tratta di qualcosa di molto più grosso.
Sembrerebbe, infatti, che Trump attaccherà direttamente le banche centrali che manipolano il cambio con il fine di tenere bassa la propria valuta. E si focalizzerà – qui sta il vero punto – sulla Banca Nazionale Svizzera, la BNS, che da anni ormai pilota il franco svizzero al ribasso (con la complicità dell’ala tedesca della BCE) vendendo franchi per dollari ed utilizzando la valuta statunitense per acquistare azioni americane, confidando che il sostegno ai corsi azionari Usa la terrà al riparo da critiche. Il problema sta nel fatto che non è più nell’interesse americano che si formino bolle finanziarie create ad arte per nascondere i problemi dell’economia reale, visto che ormai la BNS è il più grande singolo acquirente di azioni americane sul mercato Usa.
Se Trump – come sembra – stigmatizzerà tale aspetto (il passo successivo sarà attivare punizioni in caso di mancato adempimento) il risultato sarà duplice: da una parte il franco si apprezzerà, portandosi dietro anche l’euro con cui di fatto è ancorato in una corridoio di fluttuazione. La principale conseguenza sarò che, udite bene, mancherà il supporto alle borse Usa data dalla stampa di franchi “out of thin air”, ricordando che ormai il principale azionista ad esempio di Apple non sono i fondi di investimento globali ma proprio la BNS.
Se questo succederà il paradigma obamiano di manipolazione delle borse terminerà definitivamente, lasciando il passo ai flussi valutari ed ai loro effetti (dirompenti) sul mercato: in tutto questo chi dovrà temere di più saranno gli esportatori (a partire dai più grandi, ossia con la Germania in testa), che vedranno le loro monete rivalutarsi velocemente, annichilendo l’export. Le conseguenze sul piano sociale interno – ossia, l’aumento della disoccupazione – faranno il lavoro sporco obbligando intere regioni a rivedere gli stessi fondamenti della propria esistenza geostrategica oltre che geoeconomica.
In tale contesto l’euro potrebbe davvero avere i giorni contati, visto che i paesi eurodeboli restando nella moneta unico diventeranno inevitabilmente l’agnello sacrificale. Con conseguenze dirompenti per tutti nel globo, ma certamente non per gli Usa che di fatto avranno difeso per via trumpiana i propri interessi. Les Jeux sont faits.