Dire che l’equilibrio geopolitico del mondo vada decisamente verso Est e batta con sempre più vigore bandiera cinese è in fondo un pò come dire una banalità. Da un lato l’enorme popolazione, dall’altro un’economia con tassi di crescita semplicemente irraggiungibili da qualsiasi paese occidentale. Questi due fattori rendono questa un’affermazione ai limiti dell’ovvietà. Ma a che punto sono le capacità militari cinesi? Senza dubbio in notevolissima espansione. Quel che si può dire per certo infatti è che l’esercito del dragone è sempre più una minaccia e un attore da tenere in conto anche militarmente nel gioco delle alleanze nel Pacifico, ma questo accade non più solamente per il mero fattore numerico e per il deterrente nucleare.
L’apparato militare
Sembrano passati secoli da quando, negli anni ‘70, la Repubblica popolare cinese metteva in acqua il primo sottomarino nucleare della propria (all’epoca breve) vita. Una macchina in verità ridicola anche per l’epoca: rumorosissimo, non poteva lanciare alcun missile mentre era in immersione, e come se non bastasse esponeva i membri dell’equipaggio a più che consistenti livelli di radiazioni. Oggi, fortunatamente, questo primo impacciato tentativo cinese di mettere i piedi in acqua (anzi, sotto) è stato radiato dal servizio, ed è esposto in un museo. Ma da allora le cose sono notevolmente cambiate. I sottomarini cinesi sono in grado di competere ad armi praticamente pari con quelli statunitensi, generando più di qualche preoccupazione. Ad onor del vero, molte delle armi esportate dalla RPC in mezzo mondo risultano avere diversi problemi di affidabilità mai del tutto risolti, ma da alcuni mesi a questa parte da Pechino arrivano segnali di risveglio riguardo all’ammodernamento degli armamenti, confermati dalle richieste del presidente Xi Jinping di “far avanzare il proprio apparato militare”, espresse un paio di mesi fa ai delegati delle forze armate durante il loro incontro annuale. E, a guardare i fatti, sembra proprio che il presidente sia stato preso in parola.
A partire dalla nuova portaerei (ancora formalmente senza nome), inaugurata due settimane fa nel porto di Dalian, nel nord-est del Paese. Questa va ad affiancare un’altra imbarcazione, la Liaoning CV-16, la quale però risulta essere una sorta di datata portaerei sovietica, riadattata e di fabbricazione ucraina. Non il massimo, insomma. La nuova nave mostra qualche pecca (mancanza di un sistema di “lancio a catapulta” per la partenza dei caccia, ad esempio, presente sulle controparti occidentali e soprattutto americane) , ma è un importante passo in avanti per un Paese che, formalmente, non ne aveva mai costruita una. E una terza portaerei, che potrebbe risolvere questi piccoli inconvenienti, è di fatto in costruzione. Sempre a due settimane fa risale il primo test “su terra” di quella che viene definita da uno dei suoi ideatori come la “barca che può volare” . Il suo nome è AG600, e nasce con lo scopo di atterrare e decollare direttamente dall’acqua. O da una pista normale, volendo. Il velivolo, formalmente di proprietà della compagnia Aviation Industry Corporation of China (AVIC), a sua volta di proprietà dello Stato cinese, nasce, a detta dei progettisti, per essere usato in missioni di salvataggio in mare e per combattere gli incendi boschivi, anche grazie alla possibilità di trasportare 13 tonnellate d’acqua per viaggio. Anche se, guardando alle ambizioni politiche di Pechino nel Mar Cinese Meridionale, che includono il destino dei cinesi di Taiwan, viene da chiedersi se non nasca anche con degli scopi meno filantropici e decisamente più militari. Un velivolo del genere può difatti tranquillamente trasportare fino a 50 uomini armati con relativo equipaggiamento, con un raggio di autonomia di 4500 chilometri, senza contare gli eventuali compiti di pattuglia a cui potrebbe essere destinato in maniera non troppo celata. In una espressione: un modo molto efficiente per allargare della propria zona di influenza.
Le nuove imbarcazioni
Rimanendo in acqua, a gennaio il governo di Pechino ha messo in mare un nuovo strumento per la guerra elettronica, la CNS Kaiyangxing: una nave che, pur non dotata di potenza di fuoco, è perfettamente in grado di avvicinarsi, non vista, ai propri bersagli e identificarne le caratteristiche per poi eventualmente comunicarle ad altre imbarcazioni o velivoli nella zona, questa volta sì dotati di armamenti da usare. Oppure potrebbe rimanere in osservazione. La cosa da notare, in questa circostanza, è stata tuttavia l’incredibile quantità di dettagli condivisa con il pubblico. Lecito, in questo caso, pensare più all’effetto deterrente del “ce l’abbiamo anche noi e possiamo usarla”, un vero e proprio sfoggio di potenza e innovazione. Anche perché si stima che gli Stati Uniti possano averne a disposizione almeno 15, mentre quelle cinesi, considerando anche le imbarcazioni del genere piuttosto datate, non supererebbero le 6 unità. Per vedere l’ultima delle meraviglie di Pechino bisogna però alzare la testa in cielo. Si tratta del nuovissimo caccia stealth J-20, entrato in servizio a marzo. Stesse caratteristiche del più famoso collega americano F-22 Raptor, ma maggiore capacità di carico e autonomia in volo. Una versione migliorata da tutti i punti di vista (anche se alcuni ipotizzano non sia completamente invisibile ai radar) che rischia di essere superata a strettissimo giro già dal prossimo caccia cinese, il J-31. Un aereo che risolverebbe i (pochi, in verità) problemi del neonato vettore cinese, andando a creare diversi grattacapi a chi si occupa di garantire la stabilità nella zona, da Taiwan alla Corea.
@SteFasano