Chi sono le spie iraniane in Europa?
L’Iran si conferma come una minaccia incombente anche sull’Europa e non solo per Israele e il “Grande satana”, rappresentato dagli Usa. L’avvento di Joe Biden alla Casa Bianca, con il suo atteggiamento platealmente “pacifico”, palesato nei confronti della minaccia iraniana, altro non ha fatto che creare una situazione di grave rischio per la sicurezza internazionale. Mike Pompeo, segretario di Stato dell’amministrazione Trump, in una conferenza stampa tenutasi all’inizio di gennaio, in parallelo a indiscrezioni di fonti di intelligence Usa, aveva rimarcato l’inquietudine circa un’ammorbidimento delle posizioni contro il riarmo di Teheran, e in tale “warning” aveva incluso l’accresciuta consapevolezza delle attività clandestine svolte dagli agenti iraniani sia a livello globale che in numerosi Paesi europei, Italia compresa.
Le considerazioni di Mike Pompeo si sono spinte sino a segnalare come il regime degli ayatollah sia diventato una base per il network di al Qaeda, dichiarazione che ha suscitato non poche polemiche negli ambienti dell’intelligence.
Ma a conferma di quanto dichiarato da Pompeo, l’opposizione iraniana all’estero, rappresentata a Parigi da Maryam Rajavi, presidente del Consiglio nazionale della resistenza iraniana, ha posto in evidenza come all’epoca dell’eliminazione di Oussama bin Laden nel 2011 ad Abbottabad, in Pakistan, una miniera di documenti fu recuperata dal complesso che lo ospitava e, l’analisi dettagliata delle informazioni contenute in file informatici, pc portatili e materiale cartaceo rinvenuti rivelò, tra le altre cose, i dettagli della cooperazione occasionale tra l’organizzazione terroristica al Qaeda e il regime iraniano.
Tale forma di collaborazione era stata da sempre sottovalutata dagli analisti, nell’errata convinzione che le due fazioni scismatiche dell’Islam non potessero in alcun modo avviare un dialogo sebbene di fronte al nemico comune: l’Occidente.
Nonostante le evidenze risultanti dallo studio del materiale “segreto” rinvenuto, Al Qaeda ha continuato ad operare indisturbata anche per dare continuità “all’opera” del defunto leader, consolidando i rapporti con il regime di Teheran sia per l’ottenimento di finanziamenti che per l’utilizzo del territorio iraniano per la creazioni di basi alternative a quelle ormai note in Pakistan e Afghanistan.
Nel lungo periodo abbiamo quindi assistito a una rivalutazione del network di al Qaeda con il rifiorire di filiali, operanti soprattutto in Africa e Medio Oriente, sotto denominazioni neanche troppo difformi da quella della “Base”.
Al Qaeda nel Maghreb islamico e nella Penisola arabica ne costituiscono un chiaro esempio, mentre in Siria venne creato il fronte “Jabhat al Nusra” per contenere l’espansionismo dell’Isis e recuperare adepti che non si riconoscessero nelle politiche del Califfato.
È quindi plausibile che le rivelazioni fornite da Mike Pompeo, durante la conferenza stampa tenutasi la scorsa settimana, siano state oggetto di un’errata sottovalutazione da parte delle intelligence impegnate a fronteggiare il pericolo terrorismo.
Spie iraniane: Europa fulcro delle attività
Ma per meglio comprendere la pericolosa continuità delle attività clandestine degli iraniani, occorre spostare l’attenzione sul Continente europeo, reo di avere colpevolmente adottato posizioni troppo morbide nei confronti del regime di Teheran.
Nel 2018, una coppia di iraniani con passaporto belga, Amir Saadouni alias Said, e la moglie Nassimeh Naami, residenti ad Anversa, furono bloccati a Bruxelles e trovati in possesso di un’ingente quantità di materiale esplosivo. L’arresto dei due avvenne in concomitanza con il fermo di un terzo agente, Mehrdad Arefani, fermato a Parigi, e di un diplomatico iraniano, Assadollah Asani segretario della rappresentanza diplomatica iraniana di Vienna, bloccato in Germania. I quattro, secondo le risultanze delle investigazioni dell’intelligence belga, avevano progettato un piano per colpire una manifestazione del Consiglio nazionale della resistenza iraniana che si stava tenendo a Villepinte, nei pressi di Parigi.
Il quartetto di aspiranti terroristi è stato processato lo scorso novembre e il verdetto verrà emesso dal tribunale federale di Anversa il 4 febbraio 2021.
Il fermo del diplomatico iraniano dell’ambasciata di Vienna, Asadollah Asadi alias Daniel, coinvolto nel piano terroristico, ha consentito di avviare un ampio spettro di attività investigative relative al ruolo dell’intelligence iraniana in Europa e sulle connesse attività clandestine.
La documentazione rinvenuta nell’auto a bordo della quale venne fermato Asadi in Baviera, una Ford S max, venne sequestrata dagli agenti tedeschi e sottoposta ad approfondita analisi. Sulla base dei contenuti, la Germania iniziò a tracciare le attività di spionaggio di Teheran in collaborazione con le autorità di sicurezza belghe competenti per le attività processuali in corso di svolgimento ad Anversa.
Tra gli altri documenti di ampia rilevanza, anche un quaderno nero contenente istruzioni per l’assemblaggio di ordigni artigianali che il “diplomatico” doveva consegnare alla coppia di complici fermata a Bruxelles, e un libro mastro di 200 pagine con indicazioni di pagamenti effettuati a complici europei dell’organizzazione spionistica (e alla coppia stessa) e documentazione di varia natura concernente le attività della cellula e la corrispondenza con la base di Teheran.
Tra le indicazioni fornite dall’esame della documentazione, anche un notes, redatto in caratteri latini e persiani, con 289 indicazioni, orari-date-località, relative ad appuntamenti in 11 Paesi europei, tra cui l’Italia, ai quali Asadi avrebbe preso parte. Il centro di riunione principale era comunque la Germania, citata in ben 144 annotazioni.
Il centro islamico sciita di Amburgo era tra le località “visitate” dall’iraniano e, secondo l’intelligence tedesca, proprio questa associazione islamica della città portuale tedesca sarebbe utilizzata come base, a livello europeo, per “l’esportazione della rivoluzione islamica” e per la raccolta di donazioni, sotto forma di zakat (elemosina) successivamente trasferite in favore delle milizie sciite libanesi.
Asadi, inoltre, risultava avere con sé diverse ricevute relative a pagamenti in contanti ritenuti sospetti dagli investigatori e i cui destinatari, firmatari delle ricevute, hanno tutti nomi iraniani molto comuni e la loro reale identità è tuttora sconosciuta.
Saadouni e sua moglie Nasimeh Naami, per lungo tempo hanno finto di essere sostenitori del principale movimento di opposizione iraniano, la People’s Mojahedin Organization of Iran (PMOI/MEK) e per oltre 10 anni hanno regolarmente consegnato ad Assadi informazioni sulle riunioni interne del MEK, sulle manifestazioni, sui raduni, sui membri e sui simpatizzanti in cambio di una congrua contropartita in denaro contante.
Le cellule in sonno del terrorismo iraniano
Javad Dabiran, portavoce del consiglio nazionale della resistenza iraniana, durante un’intervista rilasciata ad Asharq al-Awsat, ha riferito che “il ministero iraniano dell’intelligence ha una rete di agenti in Europa che sono gestiti con l’aiuto delle ambasciate iraniane e l’uso improprio delle immunità diplomatiche” e “Asadi è il capo dell’intelligence iraniana in Europa e gestiva una rete di spie”. Inoltre, sempre secondo Dabiran, “ci sarebbero varie cellule dormienti terroristiche iraniane e anelli di spionaggio in tutta Europa gestiti dalle rappresentanze diplomatiche iraniane”.
Quest’ultima dichiarazione non fa che confermare quanto sia sottovalutata la percezione del pericolo derivante dalle attività poste in essere sia a livello europeo che in Italia dai “delegati” del regime di Teheran.
Le operazioni dei servizi iraniani proseguono a tutt’oggi, in modo pressoché indisturbato, in tutta la Penisola, così come l’opera di reclutamento di nuovi “operativi” mimetizzati con attività di copertura: dal commercio alla ristorazione, con alcune presenze mascherate nel mondo del giornalismo accreditato presso la stampa estera.
Avevamo anche evidenziato l’arruolamento nel Vevak di italiani convertiti all’Islam sciita e transfughi, per lo più di movimenti extraparlamentari di destra e sinistra, molti dei quali in diretto contatto con la legazione iraniana a Roma. Ma non solo. Frequentemente, grazie al passaporto italiano “insospettabile”, si muovono verso il Medio Oriente allo scopo di ricevere istruzioni o finanziamenti per le loro attività con visite a esponenti di Hezbollah in Libano o direttamente nella Capitale del paese persiano. Durante un soggiorno a Teheran di alcuni convertiti italiani, i vertici di Hezbollah avrebbero loro consegnato le mappe dei tunnel scavati nel sud del Libano e nella zona della Striscia di Gaza dalle milizie filo sciite, in collaborazione con quelle di Hamas, allo scopo di farli recapitare, senza incorrere in alcun controllo doganale, ad esponenti del gruppo operanti nel nostro Paese e da utilizzare per gli spostamenti di militanti operanti nelle zone “calde”.
Se l’Occidente avesse pensato che fosse remota la probabilità di una relazione di cooperazione tra il terrorismo sunnita di Al Qaeda e i mullah sciiti dell’Iran, allora dovrebbe ricredersi. Questo anche a fronte dell’astuzia dimostrata dall’Iran che utilizzerà quasi certamente qualsiasi sgravio di sanzioni nell’ambito di un accordo nucleare per espandere l’impronta delle sue milizie in Medio Oriente.
Durante la sua conferenza stampa, più volte citata, Mike Pompeo ha affermato che la relazione tra Al Qaeda e i mullah potrebbe rappresentare una seria minaccia anche per gli Stati Uniti avendo l’Iran già iniziato a coltivare suoi “delegati” all’estero, in Europa come in Medio Oriente con Hezbollah, Hamas e i ribelli Houthi nello Yemen.
Questi gruppi sono attivi, per procura iraniana, in Libano, Siria, Iraq e Yemen e hanno stretto un patto di forte collaborazione con la leadership di Khamenei. Al Qaeda non ha condiviso pienamente questa linea, a causa del suo marchio sunnita, ma questo non implica che i suoi obiettivi anti-occidentali non le consentano di allinearsi con le strategie del regime iraniano con i rischi che ne derivano, per tutti.