“Case Famiglia”: un affare da 1 miliardo di euro all’anno. Secondo le ultime stime, in Italia ne risultano 1800, distribuite da nord a sud. Lazio, Emilia Romagna e Lombardia sono quelle che raggiungono numeri più consistenti tra le 250 e le 300 presenti sul territorio. I minori fuori dalle loro case d’origine sono quasi 30mila. I bambini sotto i 6 anni, risultano invece essere 1626.
I bambini e i ragazzi ospitati in queste comunità costano dai 70 ai 120 euro al giorno. Gli istituti laici o religiosi sono pagati dai Comuni, ovvero con soldi pubblici. L’erogazione di questa retta prosegue per tutta la permanenza del minore. Un giro d’affari sulla pelle di bambini che diventano numeri, presenze invisibili. Intorno a loro le istituzioni diventano “nuovi genitori”. Il loro pane quotidiano sono le aule dei tribunali e gli studi degli assistenti sociali. Le loro vite? In attesa di una sentenza dei giudici, a volte giuste, altre a detta di molti, peccano di troppa superficialità.
Ma quanto costa una casa famiglia? Un dossier di “Casa al Plurale” spiega minuziosamente e nel dettaglio i costi di queste strutture. I pagamenti al personale che rappresentano il 74% della spesa totale, sono quelli che pesano di più. E il perché è presto detto. La maggior parte degli assistenti, infatti, deve rimanere nelle strutture h 24, tutti i giorni compresi i festivi. Complessivamente, dunque, una casa famiglia, costa sui 40mila euro l’anno. Questo considerando tutte le voci in elenco come: personale, affitto, utenze, vitto, manutenzione, trasporto e amministrazione. Bisogna invece calcolare 5mila euro in più se è una struttura che accoglie all’incirca 6 persone con gravi disabilità fisiche.
Ecco perchè un minore può essere allontanato dalla famiglia d’origine.
L’allontanamento di un minore in Italia avviene soprattutto per due motivi: inidoneità genitoriale o gravi maltrattamenti.
Questa inidoneità viene valutata attraverso un’attenta valutazione psicologica. Si valutano i profili personali di entrambi i genitori e soprattutto la loro capacità di prendersi realmente cura dei propri figli: sostentamento economico, sostegno morale, obbligo di istruzione, cure mediche, insegnamenti di educazione e/o semplici regole di comportamento sociale. Nel momento in cui questi criteri basilari vengono meno il giudice può valutare l’ipotesi di inidoneità genitoriale. Ma deve ovviamente prima disporre di un’indagine molto approfondita, che gli verrà consegnata dopo un tempo di analisi da parte degli assistenti sociali che, in presenza di un ambiente non idoneo per il minore, faranno diretta richiesta al magistrato per l’affidamento in comunità. Decisione, questa, che fino alla fine spetta unicamente al giudice.
Il minore a meno che i genitori non siano colpevoli di reati, potrà essere accompagnato nella casa famiglia dagli stessi, e se il bambino è ancora molto piccolo, nelle strutture c’è la possibilità che la madre rimanga con lui.
Rari i casi del prelievo coatto del minore, come avvenuto in recent casi di cronaca. In quel caso il minore viene preso all’uscita di scuola senza che i genitori lo sappiano. Nei primi casi l’allontanamento è temporaneo, negli altri /quelli più gravi che necessitano appunto del prelievo coatto) si parla di perdita della podestà genitoriale. Su cinque minori solo uno di solito viene assegnato (dai tribunali), in adozione o affido alle famiglie che ne fanno richiesta. Al momento sono oltre 10.000 le coppie in perenne attesa di un figlio in adozione.
Ma si sa, un bambino assegnato ad una coppia è una retta in meno che entra nelle casse di queste comunità. Viene quindi da pensare che sia più comodo tenersi un minore il più a lungo possibile. Ovvio poi che a questo ci si aggiungono altri fattori come le consuete e tipicamente italiane, lungaggini burocratiche-giudiziarie. Un’altra nota dolente, infatti, sono i tribunali che non riescono a seguire tutte le pratiche. Solo a Milano, ogni anno si accumulano 6mila fascicoli relativi a famiglie disagiate con a carico un minore.
Tutto questo continua ad accadere nonostante le casse di molti Comuni siano vuote, mentre le case famiglia sono in continuo aumento. Il problema principale è l’assenza di un monitoraggio. Pochi sanno cosa succeda in queste strutture. Solo in rari casi, e grazie alla sensibilità di qualche assistente sociale, molte verità vengono alla luce.
Ancora oggi, infatti, sembra esserci un’importante falla sulla vigila di questi istituti. Molti gli enti e associazioni no profit, ma nessuno è in grado di fornire numeri precisi. Un dato importante e non trascurabile è la necessità di rendere pubbliche le modalità con cui vengono utilizzati i fondi presi dai soldi pubblici.
Alcune strutture per essere ancora più competitive abbassano la rata giornaliera a 30/40 euro per far sì che nella loro arrivino più minori. Ma una domanda si pone: non sarebbe meglio, ovviamente quando non ci sono problematiche gravi, scegliere di lasciare questi minori con i propri genitori? Se pensiamo che il contributo dato alle comunità per ogni minore si aggira all’incirca sui 79 euro (calcolando per ogni mese e ciascun minore) e lo Stato paga dai 2.130 ai 2.970 euro. Questa somma di fatto potrebbe sostenere, senza costi aggiuntivi, i nuclei familiari in difficoltà. Ma soprattutto non dividerebbe i piccoli dai loro genitori, mantenendoli in un ambiente a loro più familiare e in sicurezza.