Dalla Libia sono arrivati il 30% di migranti in più rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, a certificarlo è stato lunedì scorso il Viminale. Sono oltre 60mila gli immigrati sbarcati sulle nostre coste in appena cinque mesi. Numeri impressionanti, un’impennata preoccupante considerando che nel 2016 si è raggiunto il picco record degli sbarchi con oltre 180mila arrivi. Una vera e propria bomba migratoria, che con l’arrivo del bel tempo deflagrerà con ancor più forza e sarà ai limiti dell’ingestibile, nonostante i piani di riparto decisi dal ministero dell’Interno e dal Ddl Minniti approvato lo scorso aprile. La macchina dell’ospitalità prevista per i richiedenti asilo è già messa a dura prova, i centri sono al collasso, solo un comune su tre ha previsto dei piani d’accoglienza. Numeri ancor più allarmanti se riferiti alla scarsa collaborazione degli altri Paesi europei, i profughi dovrebbero essere ripartiti all’interno della Ue, ma si assiste ai soliti egoismi: l’Italia sembra essere stata abbandonata a se stessa.
Il caos in Libia
E mentre per mesi il dibattito politico e giudiziario è stato tutto incentrato sull’attività di volontariato delle Ong, in Libia continua a regnare il caos più totale. Si spara e si muore in ogni zona del Paese. A Tripoli, dove ha sede il provvisorio e pletorico governo di Sarraj, negli ultimi giorni sono ritornate persino le milizie dell’ex premier filo-islamista Khalifa Ghweil, che ha tentato un nuovo golpe. Solo dopo due giorni di scontri a fuoco è ritornata la relativa calma nella capitale, ma nel corso dei combattimenti sono morte 28 persone e 130 sono rimaste ferite, tra cui anche quattro civili. Ogni volta che Sarraj ha forti difficoltà sul fronte internazionale, Ghweil tenta di acuire le complicazioni con azioni armate. Dall’inizio dell’anno sono almeno tre i golpe tentati dall’esponente libico e forti sono i sospetti che sia da ricondurre ad una sua azione anche lo scoppio dell’autobomba nei pressi dell’ambasciata italiana della capitale dopo pochi giorni dalla sua apertura.
La scorsa settimana il ministro dell’Interno, Marco Minniti, era volato a Tripoli per chiedere rassicurazioni a Sarraj in tema di sbarchi, ma evidentemente il blitz non ha funzionato. Il capo del Viminale aveva chiesto al premier provvisorio un’attenzione maggiore sulle partenze dalla Libia, almeno nei giorni in cui in Italia si sarebbe tenuto il G7 a Taormina. Una moral suasion che evidentemente non ha funzionato, proprio nel weekend in cui si teneva il vertice dei 7 grandi in Sicilia, in Italia sono arrivati circa 5mila migranti in pochi giorni.
E se nella parte occidentale la situazione è tutt’altro che tranquilla, in Cirenaica, nella zona orientale del Paese, ci sono persino i bombardamenti aerei. Dopo l’attentato in Egitto contro i copti, al Sisi ha scatenato la sua aviazione sulle milizie del Daesh responsabili dell’atto terroristico. Ovviamente i raid sono stati coadiuvati anche dal generale Haftar, sempre più padre-padrone dell’Est libico grazie anche ai forti appoggi internazionali della Russia e dello stesso governo egiziano.
Nonostante il quadro della situazione non sia – utilizzando un eufemismo – così incoraggiante, l‘Italia e l’Onu spingono ancora per l’attuazione dell’accordo politico tra Sarraj e Haftar. Ancora si privilegia la forza della diplomazia, nonostante l’accordo di Skhirat avallato dalle Nazioni Unite che avrebbe dovuto pacificare il Paese è disatteso ormai da quasi due anni.
Il business milionario dei trafficanti
Intanto la Libia sembra essere diventata un’isola tra due mari: a Nord il mar Mediterraneo, a Sud il mare del deserto da cui arrivano tutti i profughi subsahariani perché il confine meridionale con il Niger è una gruviera gestita dai trafficanti di uomini. Un business milionario sempre più spesso portato avanti con le complicità tra scafisti e polizia libica. Più del petrolio, ormai è il traffico di esseri umani la maggior fonte di sostentamento per i libici. I migranti attraversando il confine sono subito affidati ai trafficanti che in gran parte del Paese gestiscono persino i centri di detenzione. Qui essere migranti equivale a essere dei criminali, nessun governo libico infatti ha mai approvato la convenzione di Ginevra sui rifugiati: chi è clandestino viene quindi imprigionato in veri e propri lager. La sosta nei centri di detenzione ha poche alternative. Chi possiede del denaro lo consegna agli scafisti per farsi traghettare in Italia, chi invece non ha soldi viene schiavizzato per poter riscattare la propria libertà. E questi lager sono diventati pure fucina per i miliziani del Daesh. Un rapporto dell’assemblea Nato, che si è svolta lo scorso weekend in Georgia, certifica che il Califfato offre mille euro per ogni migrante che si arruola nell’Isis. Un modo per il Daesh di rimpiazzare i morti caduti nelle battaglie contro la coalizione internazionale. Un trend che ben presto potrebbe smentire chi cerca di tenere separati il fenomeno della migrazione da quello terroristico.
La Turchia
Ad agitare ancor di più le acque c’è poi l‘atteggiamento della Turchia. I dati parlano chiaro, un migrante su 10 giunto in Italia arriva dal Bangladesh. Cosa c’entra la Turchia? È presto spiegato: i bengalesi arrivano in aereo ad Istanbul e da qui, sempre in volo, a Tripoli. Nella capitale libica foraggiano poi i trafficanti per farsi portare in Italia. Una rotta che il premier turco Erdogan sta incentivando. Pochi mesi fa la Turchia ha ricevuto 5 miliardi di dollari dalla comunità internazionale per fermare il flusso di migranti sulla rotta dei Balcani. Ed evidentemente altri miliardi cercherà per bloccare anche la tratta dei bengalesi. Un vortice senza fine, in cui sembra che tutti, ma proprio tutti, vogliano guadagnare sulla disperazione dei migranti. Dinamiche che in un tempo non troppo lontano potrebbero anche suggerire di intervenire militarmente in Libia o attraverso gli organismi della Nato oppure dei caschi blu. Per ora il caos sembra non avere fine.