È caos in Tunisia. La decisione presa domenica sera dal presidente tunisino Kais Saied non è giunta del tutto inattesa. Strenuo difensore delle libertà costituzionali e dei diritti umani Kais, dopo un anno di governo a maggioranza islamista, decide di voltare pagina avocando a sé una fetta del potere delegato ai rappresentati eletti. Sospeso il Parlamento e licenziati buona parte dei ministri, a cominciare dal Premier Hichem Mechichi, l’azione radicale del presidente tunisino Kais Saied è rivolta a fornire risposte concrete alle proteste che da giorni infiammano il Paese, travolto dalla crisi economica e dalla pandemia da Covid-19.
Sceso in strada e attorniato dalla popolazione festante, il presidente tunisino ha inteso precisare che la sua mossa “non è un colpo di stato e verranno prese misure necessarie per salvare il Paese”. Di opposto parere il presidente del parlamento, Rashed el Ghannouchi, noto più per i suoi trascorsi da radicale islamista che per le sue capacità oratorie in seno a un regime democratico, che ha esortato alla mobilitazione per “lottare contro il golpe che va contro i principi pluralisti e democratici del nostro Paese” e “mina la legittimità del governo e delle istituzioni statali”.
Kais Saied ha motivato la sua decisione di destituire il capo del governo Mechichi e di sospendere i lavori del Parlamento per trenta giorni facendo appello all’articolo 80 della Costituzione che prevede il ricorso a queste norme “nel caso di pericolo imminente per il Paese”.
I gelsomini appassiti
Tutto nacque da uno spontaneo gesto di ribellione di un giovane venditore di frutta, Mohamed Bouazizi, che il 17 dicembre 2010, per protestare contro l’ingiusto sequestro della sua merce da parte delle forze dell’ordine, si dette fuoco davanti alla sede del governatorato di Sidi Bouzid. Un gesto clamoroso che accese la miccia per l’esplosione dell’intera Tunisia in quella che venne a breve definita “la rivoluzione dei gelsomini”.
In poco tempo la rivolta ebbe un effetto domino, innescandosi in quasi tutto il Maghreb, Egitto, Siria e Yemen, fornendo l’impressione di assistere a una reale primavera araba con l’esautorazione di tiranni, dittatori e nemici del popolo. Dopo 11 anni, però, la sola Tunisia ha intravisto un barlume di democrazia reale, poi offuscatosi a causa della perdurante arroganza islamista. Dall’annuncio di Kais, i cittadini tunisini sono scesi in strada, a festeggiare quello che considerano un intervento necessario in favore del Paese, ma la comunità internazionale sta guarda alla Tunisia con grande preoccupazione.
Dopo la rivoluzione del 2011, il Paese affronta una crisi senza precedenti
Il partito islamista Ennahda, principale forza di governo, non è riuscito nell’intento di fronteggiare la grave situazione economica con un tasso di disoccupazione salito al 18% e la perdurante crisi sanitaria dovuta alla pandemia da coronavirus. Una minima parte della popolazione risulta vaccinata con due dosi, il 7%, mentre le terapie intensive sono sovraffollate e gli obitori al collasso. I decessi, a fronte di 563.90 contagiati, sono stati oltre 18mila. Visto lo stato di emergenza, il presidente Saied ha esautorato dall’incarico il ministro della Salute, Faouzi Mehdi, per la pessima gestione della crisi sanitaria e per la disorganizzata gestione degli open day vaccinali. Sul fronte strettamente politico, Saied ha delegato Khaled Yahyaoui, direttore generale dell’unità di sicurezza presidenziale, per la supervisione del ministero degli Interni.
Saied sta affrontando la situazione del Paese affidandosi ai propri sostenitori, scesi in piazza per manifestare a favore delle misure adottate sull’onda della lotta alla corruzione del sistema politico, e nella grande fiducia nell’apparato di sicurezza per evitare scontri tra le opposte fazioni che potrebbero far precipitare il Paese in un caos generalizzato.
Caos Tunisia: chi soffia sul fuoco
Mentre l’ufficio del Parlamento tunisino, capitanato dal leader di Ennahda, Rashed el Ghannouchi, in una nota riportata dall’agenzia di stampa Tap dichiara che “tutte le decisioni annunciate ieri dal presidente Kais Saied sono nulle” e “vanno contro la Costituzione e persino l’articolo 80, che è stato frainteso”, il presidente ha annunciato il congelamento dei lavori parlamentari, aggiungendo che il Parlamento resta in seduta permanente alla luce della situazione, invitando le forze di sicurezza e l’esercito a stare al fianco del popolo tunisino, a proteggere la Costituzione, sostenere lo stato di diritto e preservare il prestigio dello Stato e delle sue istituzioni. Inoltre, Saied ha emanato l’ordine che da oggi al 27 agosto sia imposto il coprifuoco notturno dalle 19 alle 6 in tutto il Paese.
Ma per gli islamisti di Ennahda, la situazione sembra offrire spiragli impensabili.
Da Bengasi il generale Khalifa Haftar, comandante dell’autoproclamato Esercito nazionale libico, accoglie con favore le iniziative del presidente tunisino Kais Saied dichiarando: “Attendiamo con impazienza l’ascesa della Tunisia verso la realizzazione delle aspirazioni della sua gente per un futuro prospero dopo aver eliminato l’ostacolo più importante sulla via del suo sviluppo”. Haftar ha anche ordinato alle unità militari ai confini libico-tunisino di “essere pronte a prevenire l’infiltrazione di combattenti terroristi che potrebbero fuggire dalla Tunisia alla luce dei recenti disordini politici”.
E proprio questo sembra essere un punto focale della nuova crisi tunisina. L’appoggio incondizionato di tutta la fratellanza musulmana alle rivendicazioni di Ennahda potrebbe rivelarsi un fattore di ulteriore e gravissima destabilizzazione del Paese. Se da Bengasi il leale conforto fornito da Haftar alla presidenza di Tunisi appare un pilastro nell’asse democratico, da Tripoli giungono invece segnali inquietanti. A seguito di una riunione ristretta svoltasi tra i leader islamisti della Tripolitania e del Fezzan, si sarebbero stabiliti i parametri di collaborazione con Ennahda, con il sostegno politico e, soprattutto, con l’invio di miliziani armati pronti a infiltrarsi in Tunisia con battelli pneumatici provenienti da Zuwara, dalla costa libica, trasportando armi, munizioni, esplosivi e volontari per azione suicide.
Dalle notizie apprese, tre campi di miliziani legati ai Fratelli musulmani sarebbero stati mobilitati per l’invio in terra tunisina, anche a seguito dell’esortazione del leader di Ennahda, Rashed el Ghannouchi, rivolta ai suoi sostenitori invitati a rompere il coprifuoco e recarsi al Parlamento per manifestare contro il golpe e difendere la rivoluzione.