Teheran intendeva punire i dissidenti iraniani in esilio forzato in Europa. L’attentato con esplosivo era previsto durante un’affollata assemblea dell’organizzazione del Consiglio nazionale della resistenza iraniana a Villepinte, nei pressi di Parigi, il 30 giugno del 2018. Con tali pesanti accuse il 27 novembre si terrà, presso il Tribunale di Anversa, in Belgio, la prima udienza contro il diplomatico iraniano Assadollah Asadi e due complici legati ai servizi di sicurezza (Vevak) di Teheran.
Asadi, un agente diplomatico in servizio presso l’ambasciata di Vienna, aveva ricevuto l’ordine da Teheran di colpire il raduno “FreeIran” organizzato dal Consiglio nazionale della resistenza iraniana nei pressi di Parigi. A tal fine aveva ricevuto 1 libbra di esplosivo TATP trasportandola, sotto l’immunità diplomatica, in Lussemburgo, dove si era presentato come un turista in un ristorante per incontrare gli altri agenti coinvolti nel piano. Muniti di esplosivo li aveva successivamente inviati in Francia, mentre Asadi faceva rientro alla legazione viennese di Teheran.
La coppia di sicari aveva quindi proceduto ad assemblare un’autobomba da piazzare nei pressi del raduno dei dissidenti, in concomitanza con l’arrivo di Maryam Rajavi, il presidente della dissidenza in carica dal 1993 e ricercata dai servizi di sicurezza iraniani e dai Pasdaran operanti. In Europa per le sue iniziative contro il regime di Teheran. Ma gli agenti di Bruxelles erano sulle loro tracce da tempo, essendo stati informati riservatamente dalla rete di controspionaggio che, dopo le investigazioni di rito, ha permesso la localizzazione e il fermo dei due sicari prima della loro entrata in azione. In concomitanza al fermo dei due, il diplomatico Asadi veniva fermato in Germania durante il suo viaggio di ritorno a Vienna.
Secondo quanto dichiarato da Jaak Raes, il capo del servizio di sicurezza belga, il complotto terroristico “non era un’iniziativa personale di Assadi”, ma era stato pensato e approvato ai più alti livelli del governo. Indiscrezioni da ambienti dell’intelligence hanno fatto trasparire che l’ordine di colpire fosse stato approvato ed emanato direttamente dall’Ayatollah Khamenei e dal presidente Rohani.
A dimostrazione di tale tesi il governo iraniano ha fatto di tutto per impedire lo svolgimento del processo contro i suoi agenti arrivando a minacciare le autorità belghe di “pesanti ritorsioni”.
Le indagini, durate due anni, hanno portato alla luce un vero e proprio complotto del regime iraniano per contrastare le attività della dissidenza, anche ricorrendo a metodi “poco ortodossi”.
Il Consiglio nazionale della resistenza iraniana, in una nota, ha affermato che “in risposta a questo atto terroristico sul suolo europeo, i governi occidentali dovrebbero aumentare le pressioni economiche e le sanzioni oltre a chiudere le ambasciate attraverso le quali è stato consentito a diplomatici terroristi come Assadi di operare per così tanto tempo”. Inoltre, “Dovrebbero anche smettere di dare il benvenuto a Javad Zarif, come il principale responsabile delle ambasciate del regime e dei loro atti terroristici, nei loro paesi e dovrebbero indagare su di lui e il suo ministero come organizzazione terroristica”, si legge nella dichiarazione.