Collettivo dei martiri di Baha Alyan. E’ questo il nome del presunto gruppo palestinese, finora sconosciuto, che attraverso un comunicato diffuso sul web, nella giornata di lunedì, ha rivendicato la responsabilità dell’attentato compiuto domenica 8 gennaio a Gerusalemme est. Nell’attacco hanno perso la vita tre militari israeliani e una soldatessa. Avevano tutti poco più di vent’anni. Secondo quanto riferito dal quotidiano locale “Time of Israel” si tratterebbe di un’organizzazione che non possiede legami, all’infuori dei territori palestinesi, con altri gruppi jihadisti. Tuttavia, al momento, risulta impossibile confermare l’attendibilità della rivendicazione. Quel che è certo, è che il Collettivo deve il suo nome, Baha Alyan, a uno dei due attentatori che, nell’ottobre 2015, assaltarono un autobus a Gerusalemme est uccidendo 3 passeggeri. Alyan venne ucciso dall’intervento delle forze di sicurezza israeliane mentre il suo complice, ferito, venne arrestato, processato e condannato all’ergastolo.
Già nei giorni scorsi, da Gaza, il gruppo islamico palestinese di Hamas aveva “plaudito” all’attacco di Gerusalemme mentre le Brigate Ezzedine al-Qassam, braccio armato dell’organizzazione, avevano definito l’attentatore, il 28enne Fadi al-Qanbar, “un mujahid” (un combattente per l’Islam, jihadista). E in effetti, secondo le autorità israeliane, il giovane potrebbe essere un sostenitore dello Stato islamico. Ne è certo il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu. ”Sappiamo – ha dichiarato il premier – che esiste un filo comune che lega tra di loro diversi attentati e sicuramente può esistere un legame tra l’attacco di Gerusalemme e quanto accaduto prima in Francia e poi a Berlino”. Lo scorso settembre, a riguardo, i servizi segreti di Tel Aviv avevano fatto trapelare la notizia di un patto siglato tra Abu Bilal al Gazaui, esponente di spicco delle Brigate Ezzedine al-Qassam, e Abed Rahman Barhame, emiro dello Stato islamico nella penisola del Sinai. Ma, a oggi, anche sulla possibile matrice islamista dell’attentato non vi è ancora conferma definitiva.
La risposta del governo israeliano alla domenica di sangue di Gerusalemme non si è fatta attendere. Dopo un vertice nell’ufficio del primo ministro Netanyahu, il gabinetto di sicurezza ha stabilito, nei giorni scorsi, una serie di provvedimenti volti a impedire nuovi attacchi. La prima misura è quella di non restituire alla famiglia la salma di Fadi al-Qanbar. Ma c’è di più: la casa della famiglia del ventottenne palestinese, originario di Jabel Mukaber, quartiere est di Gerusalemme, sarà distrutta “al più presto possibile”, mentre le eventuali richieste dei parenti di Gaza dell’aggressore di ricongiungersi con quelli di Gerusalemme saranno negate. Già dalla stessa giornata di domenica, inoltre, le forze di sicurezza israeliane hanno sottoposto a rigidi controlli chiunque da Jabel Mukaber avesse intenzione di lasciare l’area per recarsi in altre parti della città.
Il governo israeliano, infine, ha stabilito che arresterà e interrogherà tutti coloro che in questi giorni hanno celebrato con manifestazioni di piazza e slogan l’attentato di domenica e ha deciso che sarà sottoposto a detenzione amministrativa (arresto senza processo e prove) chiunque esprimerà sostegno per i jihadisti dell’autoproclamato Stato islamico. Al momento, le persone arrestate sono nove. Tra loro, secondo quanto riferito dalla portavoce della polizia israeliana, Luba Samri, figurano anche cinque congiunti dell’attentatore, ucciso dalle forze di sicurezza dello Stato ebraico subito dopo l’attacco. Le immagini del camion che investe i militari, impressionanti, hanno fatto il giro del web. I funerali delle giovani vittime si sono svolti nella giornata di lunedì in diversi cimiteri di Israele.