Era denominato ‘lodo Moro’ quell’accordo segreto con i movimenti terroristi palestinesi che per anni hanno colpito mezzo mondo con attentati, stragi e rapimenti tranne che in Italia. La formula era semplice: l’Italia non si intromette negli affari dei palestinesi, che in cambio non attaccano obiettivi sensibili nel nostro paese come ambasciate. Tuttavia, ben presto si scoprì che i siti degli ebrei erano esclusi dall’equazione. Oggi, secondo fonti dell’intelligence e non solo, l’Italia avrebbe un simile accordo con Hizbollah ed Hamas in Libano, dove le forze Unifil chiuderebbero un occhio sul processo di riarmamento, purché non siano compiuti attentati contro gli uomini del nostro contingente.
In Italia, del resto, operano numerose associazioni di apparente carattere benefico che, in diverse realtà urbane, si appoggiano a grossi centri culturali islamici, come nel caso di Roma, dove sia l’Islamic Relief, sia l’Abspp (Associazione benefica di solidarietà con il popolo palestinese) hanno sede nelle immediate vicinanze di moschee frequentate anche da sostenitori di Hamas, per lo più riuniti nelle associazioni dei palestinesi in Italia.
Acronimo di Harakat Al Muqawama Al Islamyya , movimento islamico di resistenza anche tradotto con “fervore”, Hamas fu fondato nel 1987 dallo sceicco Ahmed Yassine, si configura come un gruppo legato alla galassia dei fratelli musulmani egiziani che incarna un’ideologia sunnita fondamentalista, filo palestinese e fortemente antisionista.
L’obiettivo della politica di Hamas, da sempre, si distingue per la volontà di islamizzazione del sostegno alla causa palestinese fondendo il Corano all’irredentismo nazionalista, non disdegnando l’appoggio a gruppi jihadisti in cui trovare nuova linfa soprattutto per la fornitura di armi e l’elargizione di finanziamenti. Nel passato anche più recente, in più di un’occasione, l’intelligence avrebbe segnalato la connessione di elementi di Hamas con soggetti della sinistra extraparlamentare italiana, questo soprattutto in riferimento alla campagna Bds (boicottaggio – disinvestimento e sanzioni) in atto contro Israele, ma anche nelle ricorrenti manifestazioni di appoggio alla resistenza palestinese. In fondo, anche noti esponenti politici di alto livello non hanno mai disdegnato il mantenimento di rapporti con l’organizzazione terroristica palestinese, spesso adducendo la ragion di stato come ottima scusante alle scomode interlocuzioni.
Il “lodo Moro” consisteva in un patto segreto che, dopo la strage di Fiumicino del dicembre 1973, convinse il governo italiano, a guida di Mariano Rumor e con Aldo Moro, ministro degli Esteri, a stringere rapporti con i responsabili dell’attacco all’aeroporto di Roma, ovvero la dirigenza palestinese rappresentata dagli esponenti dell’Olp. In cambio dell’impunità nei confronti di soggetti legati al traffico armi ed esplosivi, i palestinesi non avrebbero compiuto azioni violente in Italia o contro interessi italiani all’estero. Unica eccezione erano gli obiettivi che, a qualsiasi titolo, collaboravano con i sionisti e lo Stato d’Israele.
Moro intendeva elevare l’Italia in senso economico e politico e, soprattutto, liberarla dal giogo statunitense. Come ministro degli Interni prima, e successivamente da presidente del Consiglio, sapeva bene che cosa succedesse nelle basi Nato e Usa ospitate in Italia e sulle prigioni segrete.
A Roma, sin dalla fine degli anni ’70, si svolsero numerosi incontri tra la dirigenza palestinese, in particolare il Fronte popolare per la liberazione della Palestina (Fplp) di George Habash, ed esponenti della sicurezza italiana. Proprio Habash fu il firmatario dell’accordo con l’Italia che lo impegnava a non perpetrare attentati nel nostro Paese in cambio dell’impunità per i traffici d’armi e gli interscambi di favori con la malavita ed i terroristi nostrani.
Sia Francesco Cossiga che il giudice Rosario Priore, nel corso degli anni, difesero a spada tratta l’accordo italo – palestinese, siglato nell’interesse dei cittadini e degli interessi nazionali al fine di garantirne l’immunità in cambio dell’accettazione di diventare una “base logistica” dei gruppi palestinesi in chiave anti-israeliana.
Solo a titolo d’esempio, nel marzo 2011 il segreto di stato venne imposto alla Procura di Tempio Pausania in relazione all’indagine intrapresa su alcuni container carichi di armi ed imbarcati su traghetti diretti in Libia, approvvigionamenti sofisticati che, transitando dal Sudan, per mano di trafficanti iraniani, sarebbero stati successivamente destinati al Sinai a disposizione di elementi di Hamas. L’anno successivo, nel 2012, altri container ricolmi di armi terrestri sono stati sequestrati nel porto di Napoli. La loro destinazione primaria era Alessandria d’Egitto, da dove sarebbero poi stati smistati ai miliziani palestinesi.
Oggi la realtà non presenta sostanziali differenze. I movimenti oltranzisti palestinesi, mascherati magari da associazioni no-profit, operano nel nostro paese alla luce del sole. E’ noto che alcuni esponenti dei movimenti filo – palestinesi in Italia lavorino a stretto contatto con alti dirigenti di Hamas e, tra questi, Khaled Meshaal, uno dei capi dell’integralismo palestinese più legati ai regimi di Damasco e Teheran, la cui figura ascetica è stata spesso immortalata proprio con i suoi sostenitori “italiani”.
Appare da subito chiaro che l’intento non interventista delle autorità italiane voglia perseguire l’obiettivo di essere considerati super partes nel conflitto in atto da decenni tra Israele e i palestinesi, ma tale ragione pare non tenere conto dell’evoluzione che la politica mediorientale ha avuto proprio negli ultimi anni.
Il programma insito nell’ideologia di Hamas, che fondamentalmente è teso alla riconquista di territori in mano ad Israele, non è comunque scevro da inquietanti propaggini. Alcuni documenti visionati hanno messo in risalto come le finalità ultime dell’organizzazione palestinese non si fermino unicamente ad una conquista sui campi di battaglia mediorientali, ma puntino molto più in alto, sino a conformarsi in tutto e per tutto nei deliranti messaggi di islamizzazione forzata dell’Occidente propagandati dall’Isis.
Proprio qui le recenti notizie dovrebbero far convergere le attenzioni degli analisti d’intelligence occidentali. In più di un caso, infatti, è stata segnalata la volontà di stringere alleanze locali tra Isis ed Hamas, in funzione anti-israeliana. La striscia di Gaza e ancora di più il confine egiziano del Sinai, sono infiltrati da miliziani del Califfato che operano a stetto contatto con i fondamentalisti di Hamas, soprattutto per quanto concerne l’approvvigionamento di armi e la creazione di nuovi tunnel che portino oltre il confine israeliano.
Questa realtà non dovrebbe essere sottovalutata soprattutto dal nostro Paese perchè, se è vero che fino ad oggi siamo rimasti immuni da azioni in stile Parigi o Bruxelles, è anche vero che un unico input di al-Baghdadi potrebbe fare riemergere qualche inquietante presenza, magari da tempo operativa nella Penisola e di cui potremmo pentirci amaramente.