L’iniziativa del presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, di trasferire l’ambasciata americana da Tel Aviv a Gerusalemme, ha fatto innalzare, anche se in modo non inaspettato, la tensione internazionale. Il discorso ufficiale è atteso per le 12 di oggi alla Casa Bianca, ma la decisione è stata abbondantemente preannunciata con le numerose dichiarazioni nei giorni scorsi. Se è vero che il trasferimento non avverrà prima di 6 mesi, le reazioni non si sono fatte attendere e non solo a livello diplomatico. Da 2 giorni Israele vive, infatti, in stato di allerta, dopo i numerosi episodi di violenza che hanno visto come protagonisti gli arabi-palestinesi con aggressioni e lanci di razzi contro civili e militari israeliani.
Nel dibattito seguito alle indiscrezioni circa le intenzioni di Trump relative a trasferire la propria ambasciata a Gerusalemme, le voci dal mondo arabo si sono levate all’unisono, contestando la decisione del presidente americano e, nel caso della Turchia, arrivando a minacciare Israele, neanche troppo velatamente. Il premier Erdogan, infatti, durante un intervento davanti alla riunione del partito Akp, ha dichiarato che “l’eventuale riconoscimento di Gerusalemme come capitale di Israele rappresenta una linea rossa per i musulmani” e che “potrebbe portare alla rottura delle relazioni diplomatiche della Turchia con Israele”.
Il re saudita Salman, inoltre, ha ammonito Trump dichiarando che lo spostamento della legazione americana a Gerusalemme “è un passo che potrebbe infiammare i sentimenti dei musulmani”. E il re del Marocco, Mohamed VI, presidente del comitato al-Quds, ha inviato una missiva al presidente Trump per conto di 57 Paesi arabi e musulmani per metterlo in guardia dagli effetti della sua decisione. Il presidente dell’Autorità nazionale palestinese, Mahmud Abbas, contattato telefonicamente da Trump per riferire circa la sua decisione, ha invocato l’intervento di russi, francesi, giordani e, non ultimo, di Papa Francesco, presso il presidente americano per dissuaderlo dalla sua decisione.
Le reazioni nei territori occupati
Nei territori occupati le reazioni sono andate oltre. Hamas, al-Fath e la Jihad Islamica, hanno infatti indetto “3 giorni della rabbia” a partire da venerdì prossimo, per contestare la decisione americana che, per gli arabi-palestinesi, rappresenta un vero e proprio riconoscimento di Gerusalemme come capitale di Israele.
In definitiva il quadro che si va delineando non rappresenta una sorpresa per nessuna delle parti in causa.
La decisione di Donald Trump, estemporanea, inattesa e, probabilmente avventata, non poteva certo passare inosservata nel quadro dell’instabile Medio Oriente che stenta a riprendersi dopo la tragica apparizione e successiva scomparsa dello Stato islamico in Siria e Iraq e dall’eredità di sangue e distruzione che i seguaci di al Baghdadi hanno lasciato ai sopravvissuti.
Israele non ha commentato ufficialmente la svolta decisa dal presidente americano. Fonti della sicurezza hanno, comunque, ordinato l’immediato innalzamento delle misure di sicurezza per gli obiettivi statunitensi sul territorio di Israele e posto l’esercito in stato di allerta permanente nel timore di attacchi e in previsione del prossimo venerdì di preghiera che si preannuncia come il più caldo degli ultimi dieci anni.