Lo spostamento dell’ambasciata Usa da Tel Aviv a Gerusalemme si farà. “Entro fine maggio il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, annuncerà formalmente la decisione”. A rassicurare i più scettici sulla delicata questione che rischia di avere conseguenze imprevedibili per la stabilità del Medio Oriente è stato il parlamentare Usa, Ron DeSantis, che nel fine settimana scorso ha guidato, nella Città Santa, una delegazione di rappresentanti del Congresso per verificare le condizioni e le possibili ricadute della decisione. Secondo il sito di notizie statunitense “Breitbart News”, DeSantis avrebbe anche indicato come come possibile sede della nuova ambasciata la struttura del compound del Consolato Usa a Gerusalemme che si trova ad Arnona, nella parte meridionale della città, a un passo dal quartiere palestinese di Jabel Mukaber. “Si tratta di un edificio già pronto all’uso – ha dichiarato il parlamentare statunitense – dotato perfino di maggiore sicurezza rispetto all’ambasciata di Tel Aviv”.
DeSantis, durante la sua visita a Gerusalemme, ha incontrato il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu e diversi deputati israeliani e ha assicurato: “Molta gente ha pensato che lo spostamento dell’ambasciata Usa sarebbe avvenuto in giorno solo. E quando questo non è accaduto, ha ritenuto che il presidente Trump non avrebbe mantenuto la promessa fatta in campagna elettorale”. “Tuttavia – ha aggiunto il parlamentare di Washington – Trump ha dato già prova di essere un uomo di parola e per questa ragione andrà fino in fondo”. ”Del resto – ha proseguito- David Friedman, il nostro ambasciatore, si trova già sul posto. E questo, per noi, è garanzia di successo”. Dal canto suo, il Likud, il partito di Netanyahu, ha fatto sapere tramite il parlamentare, Yehuda Glick, che ha incontrato la delegazione Usa guidata da DeSantis che “è tempo che il presidente rispetti l’impegno preso e la legge approvata dal Congresso nel 1995”.
E in effetti, lo spostamento dell’ambasciata Usa da Tel Aviv a Gerusalemme è previsto dal Jerusalem Embassy Act, testo normativo varato dal Congresso degli Stati Uniti dodici anni fa. Il provvedimento definisce Gerusalemme “capitale indivisibile” di Israele e per questa ragione propone il trasferimento della delegazione diplomatica statunitense nella città. Tuttavia, almeno finora, i tanti presidenti che si sono succeduti alla guida degli States sono ricorsi alla loro autorità per emanare decreti esecutivi che di fatto hanno bloccato l’entrata in vigore della legge. All’inizio di dicembre, Barack Obama aveva firmato una nuova proroga semestrale per l’ambasciata Usa in Israele, che così almeno fino a maggio resterà a Tel Aviv. La sospensione del provvedimento – da Clinton a Obama, passando per Bush – è stata considerata sempre necessaria per motivi di sicurezza nazionale.
La reazione palestinese alle parole di DeSantis non si è fatta attendere. La leadership di Ramallah e quella giordana hanno sottolineato che lo spostamento dell’ambasciata Usa provocherebbe un’escalation di violenza sia in Israele che nei Territori. Ziad Khalil Abu Zayyad, portavoce di Fatah, il partito del presidente Mahmoud Abbas, ha ammonito la delegazione Usa sulla necessità “di comprendere che una simile decisione “potrebbe non solo fare esplodere la situazione in Palestina ma nell’intera regione“. Una reazione giunta poche ore prima che il premier israeliano chiedesse, e ottenesse, la cancellazione a Jatt, villaggio arabo-israeliano a nord di Tel Aviv, dei cartelli stradali che indicavano ‘via Arafat’. “Non possiamo permettere che nello Stato d’Israele – ha motivato il primo ministro durante il consiglio dei ministri – siano dedicate strade in ricordo di uccisori di israeliani o di ebrei”.
Netanyahu giovedì è stato in visita a Mosca, dove ha incontrato il presidente russo Vladimir Putin. I due leader si sono confrontati sull’attuale situazione in Medio Oriente, con particolare attenzione agli sforzi congiunti nel contrasto al terrorismo internazionale. Ma per il premier di Tel Aviv, la visita a Mosca ha rappresentato soprattutto l’occasione per discutere dell’Iran e del timore che Teheran possa stabilire una presenza permanente in Siria, nei territori al confine con lo Stato d’Israele. L’Intento di Netanyahu, secondo il “Jerusalem Post”, “è raggiungere un’intesa pacifica con Mosca al fine di prevenire possibili conflittualità tra i due paesi ed evitare incidenti tra le forze israeliane e russe impegnate a Damasco.
@RosariaSirianni