La riconquista di Aleppo è un punto di svolta nella guerra in Siria. Dopo mesi di assedio, l’esercito siriano ha completamente circondato il centro della città, costringendo i gruppi ribelli in una sacca. Quella di Aleppo è la battaglia più importante del conflitto. Seconda città della Siria e centro economico del paese, dall’inizio della guerra è divisa in due: da un lato le forze fedeli al presidente Assad, dall’altro i gruppi ribelli e jihadisti. “Aleppo è come Stalingrado”, affermava Bashar al Assad lo scorso maggio. Come nell’epica battaglia della seconda guerra mondiale, si combatte quartiere per quartiere, casa per casa, un confronto logorante con centinaia di vittime, soprattutto tra i civili, come dimostrano i bombardamenti indiscriminati anche su obiettivi sensibili come gli ospedali. La situazione umanitaria è al collasso. La Croce rossa ha descritto la situazione come “devastante”, mentre Medici senza Frontiere dice che quattro degli ospedali della città sono stati bombardati durante l’ultima settimana. Perdere Aleppo sarebbe un colpo duro per l’opposizione, in seria difficoltà da quando la Russia ha preso direttamente parte al conflitto a fianco del governo di Damasco. L’assedio di Aleppo ha colto di sorpresa ribelli e jihadisti, costringendo alla resa diversi combattenti e provocando la scissione da parte del Fronte al Nusra da Al Qaeda. Una decisione più di facciata che altro, funzionale a rafforzare i legami con gli altri gruppi della galassia dell’opposizione. Per rompere l’assedio ai quartieri orientali della città, i ribelli hanno lanciato una controffensiva su vasta scala insieme allo Stato islamico.
Una serie di attacchi kamikaze ha colpito le linee governative intorno al villaggio di Khanasser, situato su una collina strategica nella zona sud-orientale del governatorato di Aleppo. Fonti dell’esercito di Damasco affermano, comunque, di aver respinto l’attacco anche grazie ai raid degli aerei russi, sempre più arbitri del conflitto. Il coinvolgimento di Mosca ha ribaltato le sorti della guerra, ma sta costando caro al Cremlino. Nei giorni scorsi, infatti, i ribelli hanno abbattuto un elicottero russo nella zona di Idlib, provocando la morte di tre membri dell’equipaggio e di due ufficiali al rientro da una missione umanitaria ad Aleppo. La sorte dei militari a bordo mostra tutta la brutalità della guerra. In un video diffuso su internet, si distinguono chiaramente militanti appartenenti, forse, al gruppo Jaysh al Fatah, fare scempio di uno dei corpi dei piloti. “La Russia deve rispondere all’abbattimento dell’elicottero in Siria”, ha dichiarato il presidente della commissione difesa della Duma, Vladimir Komoedov, preannunciando rappresaglie sulle postazioni dei colpevoli. A minacciare Mosca c’è anche l’Isis che in un video di propaganda chiede ai propri militanti di “portare il jihad in Russia”. Minacce che non cambiano la politica del Cremlino in Medio Oriente, come dichiarato dal portavoce di Putin, Dimitri Peskov, ma sono comunque da non sottovalutare, vista la cospicua presenza di cittadini ceceni nelle fila dello Stato islamico. Anche se Aleppo dovesse cadere, la guerra sarebbe tutt’altro che finita. A pesare sulle sorti del conflitto, più che le azioni militari, sono le decisioni della diplomazia internazionale. La distanza tra le posizioni russe e americane, anche se notevolmente ridottasi, resta comunque incolmabile, almeno nel breve periodo. Le incognite sul futuro della Siria sono troppe. In gioco c’è la stessa unità nazionale che, ad oggi, appare una vera e propria utopia. Una Siria balcanizzata potrebbe portare alla fine del conflitto armato, ma genererebbe una bomba ad orologeria di instabilità e settarismo.