In Afghanistan un attentatore suicida si fa esplodere in una moschea a Herat durante la preghiera del venerdì provocando 30 morti e più di 40 feriti. Ad essere presa di mira la moschea di Guzargah, dove un uomo ha innescato e fatto detonare un potente ordigno poco dopo aver baciato le mani dell’imam Mujib Rahman Ansari, noto esponente religioso del regime talebano, secondo a rimanere ucciso dopo Ramihullah Haqqani, membro dell’omonima rete islamista a capo del paese e schierato apertamente contro lo Stato islamico nella sua ramificazione in Afghanistan.
La morte dell’imam Ansari è stata confermata dal portavoce del governo talebano, Zabihullah Mujahid, che poco prima dell’attentato aveva incontrato il vice primo ministro, mullah Abdul Ghani Baradar, giunto a Herat per una visita ufficiale proprio con l’intenzione di verificare le condizioni di sicurezza e stabilità nella provincia.
Secondo l’emittente Al Arabiya, l’attacco sarebbe stato perpetrato ad opera dello Stato Islamico (ISKP – Islamic State Khorasan Province) sempre attivo contro il regime talebano.
L’attacco avviene a poche ore dalle celebrazioni del Governo di Kabul in occasione del primo anniversario dal ritiro delle truppe americane e occidentali dal paese asiatico.
E per festeggiare l’avvenimento il regime ha organizzato una parata militare con gli armamenti abbandonati dal contingente statunitense durante la frettolosa e rovinosa ritirata dall’Afghanistan.
La situazione nel paese, retto da un governo di esaltati, avversati da una compagine ancor più sanguinaria, rischia di precipitare in un altro abisso mortale, quello della guerra civile tra fazioni.
In questo i veri protagonisti risultano comunque essersi rivelati gli “esportatori di democrazia” da Oltreoceano che, dopo anni di tentativi infruttuosi di portare il paese a livelli accettabili di vivibilità, lo hanno poi abbandonato in condizioni se possibile peggiori del loro arrivo.