Afghanistan, il grande dimenticato che aleggia come un fantasma sulle elezioni di Midterm. Sì, Afghanistan: vi siete già dimenticati? Quel paese dell’Asia centrale che, se visto sulla cartina, apparirebbe come privo di ogni centralità geopolitica, ma negli ultimi quaranta anni teatro di una guerra infinita che ha coinvolto il mondo.
Bilancio – La caduta di Kabul è stata un pugno nell’occhio dell’Occidente e nello stomaco per il 46° Presidente USA. Vent’anni di presenza che sono costati 3541 morti alla coalizione internazionale (di cui 57 italiani), quasi 70 mila fra le forze di sicurezza afgane ed oltre 45 mila morti civili. Un angolo di globo che, come pericoli, non aveva e non ha soltanto le imboscate e le autobombe dei terroristi bensì mine, ordigni inesplosi, clan in lotta fra loro. Quando le prime avanguardie USA arrivarono nella capitale trovarono relitti di aerei sovietici sulla pista dell’aeroporto e tank russi che costellavano le strade. Se pensate che i talebani abbiano (ed hanno) bonificato il paese che pretendono di comandare vi sbagliate di grosso… Residuati che fanno male ci sono ancora, le arterie stradali se non manutenute rischiano di andare in rovina isolando, ancor di più, la capitale dalle realtà montane ed agricole ostacolo alla stabilità del potere centrale sin dall’invasione sovietica.
Ai danni alle persone, si aggiungono i costi materiali. Nell’agosto 2021, il CorSera contestò la stima (fino ad allora nota) di 800 miliardi di dollari di spese per due decenni di conflitto indicando, quale valore più realistico, oltre 2300 miliardi di dollari.
Eppure, di quell’immane sforzo ci resta solo la memoria di persone che precipitano dalle ali degli aerei statunitensi, nel disperato tentativo di mettersi in salvo dal nuovo regime teocratico.
Le donne, cui la coalizione internazionale aveva dato una speranza, sono le vittime di guerra il cui fato dovrebbe più farci inorridire e vergognare. Stando agli accordi di Doha, infatti, entro il ritiro definitivo di USA ed Alleati dall’Afghanistan, i talebani avrebbero dovuto impegnarsi a rompere i loro legami con al-Qaeda, ad avviare un percorso di transizione pacifico con il governo di Kabul ed a rispettare libertà e diritti di tutti i cittadini. Se un punto non fosse stato rispettato l’accordo sarebbe saltato.
Donald Trump, sotto la cui presidenza furono avviati i colloqui con gli “studenti coranici”, tentò probabilmente di smarcare gli Stati Uniti da un conflitto che aveva ormai superato il Vietnam quanto ad impopolarità, pur cercando di garantire un minimo di stabilità e di democrazia ad un paese nel quale USA ed alleati UE si erano sacrificati per venti anni.
A Biden non si può contestare tanto la velocità del ritiro (data prevista era comunque il 31 agosto 2021), quanto il non aver sorvegliato sul rispetto di quei punti così importanti sia per i civili afgani, sia per la credibilità internazionale dell’Occidente.
E già il fatto che la riconquista di Kabul sia stata associata, dalla stampa internazionale, alla caduta di Saigon del ’75 lascia ben intendere le proporzioni del fallimento USA. D’altronde, entrambe le capitolazioni furono immortalate su una pista: in Vietnam, dall’UH-1 sopra l’ambasciata americana con la fila di profughi che cerca di salire, a Kabul sulla pista dell’aeroporto con le persone in fuga e con le drammatiche scene di chi è precipitato dalle ali del C-17 “Globemaster III” in decollo.
Congresso ed opinione pubblica statunitensi stanchi della guerra. Questa la maggiore preoccupazione di un Presidente che, di lì ad un anno, avrebbe dovuto affrontare la sfida delle elezioni di mezzo mandato… alle quali si presenta (stando alle indiscrezioni giornalistiche) comunque molto indebolito.
L’invasione russa del 24 febbraio, poi, ha permesso per un momento di spostare l’attenzione del mondo da Kabul a Kiev recuperando, dai meandri della memoria, la Russia quale principale nemico del mondo libero. La guerra russo-ucraina è in stallo ormai da mesi e gli aiuti militari USA ed europei sembrano non modificare gli equilibri a vantaggio di Zelensky il quale, al contrario di Biden, è saldo in sella forte del sostegno politico, militare e di informazione di un Occidente che lo considera paladino delle libertà. Tuttavia, le conseguenze delle sanzioni sulle economie del Vecchio continente quali, ad esempio, l’aumento folle del prezzo dei combustibili, sta privando l’appoggio all’Ucraina di quel consenso internazionale di cui Kiev godeva fino a pochi mesi fa.
Ma se la stampa mondiale continua a tessere le lodi della resistenza ucraina, dall’Afghanistan giungono solo poche notizie e ben poco rassicuranti.
L’ISIS (mai completamente battuto) contende ai taliban il controllo del nord-ovest del paese con attentati dinamitardi e centinaia di morti. Le donne afgane sono tornate a prima del 2001, impossibilitate a studiare, lavorare, essere libere. Le poche manifestazioni di dissenso (peraltro tutte organizzate da donne) sono state represse nel sangue dagli “studenti coranici”.
La nazione centro-asiatica versa inoltre in una profonda emergenza alimentare e sanitaria che gli 1.1 miliardi di dollari stanziati da USAID e Governo degli Stati Uniti potrebbero non arginare. E che, se confrontati ai 21 miliardi stanziati dal 2014 per armare ed addestrare l’esercito ucraino, ai 18 miliardi investiti poco prima dell’attacco russo ed ai nuovi stanziamenti, sono briciole. Briciole che non garantiranno pane e medicine ai 40 milioni di afghani ma che, certamente, peseranno e non poco sul giudizio degli elettori americani.