Ancora sangue in Afghanistan. Dopo l’attentato contro l’albergo Intercontinental di Kabul dello scorso 21 gennaio, che ha provocato 18 vittime, i terroristi sono tornati a seminare il terrore.
Questa volta l’obiettivo è stata la sede di Save the children a Jalalabad, nella provincia di Nangarhar dove, a seguito dell’attacco, sono morti anche 3 membri dell’ong. A colpire è stato un commando composto da miliziani “inghimasi”, addestrati a combattere e immolarsi solo dopo avere ultimato l’ultima cartuccia.
Secondo un copione già visto, il primo miliziano si è fatto esplodere all’ingresso dell’edificio, attraendo l’attenzione della vigilanza e dei soccorritori. Altri componenti del commando sono entrati in azione aprendo il fuoco in modo indiscriminato. Il bilancio provvisorio è di 9 morti e oltre 25 feriti.
La dinamica
Gli assalitori sono entrati azione alle 9 del mattino, quando le attività del centro erano in pieno svolgimento. Un miliziano ha condotto una vettura carica di esplosivo fino all’ingresso del compound, facendola detonare e spianando la strada agli altri 4 componenti del commando che hanno fatto irruzione nel centro sparando raffiche di armi automatiche e, successivamente, barricandosi all’interno di un edificio. Solo dopo 10 ore di assedio, le forze speciali afghani hanno neutralizzato i terroristi e liberato i civili che, nel frattempo, si erano rintanati all’interno delle di aule e sale ambulatoriali.
Un portavoce dei talebani afghani, tale Zabihullah Mujahid, ha negato un coinvolgimento degli studenti coranici nell’attentato, mentre, poco dopo sulle piattaforme dei social network è apparsa la rivendicazione dell’Isis.
La rivendicazione dei terroristi
Nel comunicato si legge che un commando di 3 miliziani ha attaccato organizzazioni di Paesi invasori, Svezia e Gran Bretagna, e obiettivi governativi afghani. L’attentato conferma l’ipotesi di un accentuato dualismo tra il movimento dei talebani e lo Stato islamico. I primi sembrano condurre una jihad “difensiva” allo scopo di liberare il Paese dalla presenza di invasori, mentre i militanti dello Stato islamico tendono a colpire obiettivi occidentali allo scopo di mantenere viva l’attenzione sul defunto Califfato e a non consentire ai movimenti rivali, in primis al Qaeda di Hamza bin Laden, di avere il sopravvento nella conduzione della guerra santa contro gli infedeli.
In chiave prospettica appare chiaro che la rivalità tra le fazioni principali del terrorismo islamista, come già sottolineato in altre occasioni, dovrà essere al centro dell’attenzione delle intelligence occidentali, poiché la frammentazione del movimento jihadista renderà sempre meno semplice la localizzazione delle minacce e, l’indebolimento politico dei governi dei Paesi colpiti, nella sola giornata di oggi la Libia e l’Afghanistan, ostacolerà l’opera di collaborazione internazionale di polizia in chiave anti-jihadista, rendendo il panorama della sicurezza ancora più cupo rispetto al recente passato.