Mentre sono in corso i colloqui per gestire la guerra in corso nella Striscia di Gaza, l’Egitto costruisce un muro per bloccare un eventuale esodo di palestinesi nella penisola del Sinai. Obiettivo, tra l’altro, portato avanti dall’inizio del conflitto. Spesso ci si è chiesti perchè dal valico di Rafah non si consente il passaggio di civili per sfuggire alle bombe. Una domanda che incuriosisce soprattutto i non addetti ai lavori, ma che lascia in qualche modo perplessi anche coloro che si occupano del tema a vari livelli. In realtà la risposta la conoscono tutti, anche quelli che in questo momento chiedono a Israele il ritiro delle truppe e il cessate il fuoco proprio per preservare i civili. Nell’ipocrisia che avvolge la comunicazione delle istituzioni internazionali, che al momento stanno trattando con un gruppo terroristico (Hamas, qualora non fosse chiaro), l’argomento non è stato mai approfondito per timore di incrinare equilibri precari che si poggiano sul ruolo che l’Egitto, e gli altri Paesi arabi, potrebbero svolgere nella mediazione per la fine del conflitto. Il Cairo, dall’inizio di questa storia, ha messo paletti molto chiari: i palestinesi non dovranno mai arrivare in massa nel territorio egiziano perché questo rischierebbe di trasformarsi in un esodo definitivo.
Ma non solo. Il timore (o la certezza), è che insieme ai civili arrivino anche i miliziani di Hamas che, proprio dal Sinai, potrebbero sferrare attacchi contro Israele. Gli egiziani, quindi, vedono un riversamento di palestinesi nella Penisola come un evento senza la garanzia del ritorno, con la conseguente occupazione da parte di Israele dei territori della Striscia.
Intanto i palestinesi muoiono per mano di Hamas, che dal 7 ottobre 2023 li ha usati come scudi umani. Dietro i bombardamenti israeliani, infatti, c’è il gruppo terroristico che è il vero mandante della morte dei civili. Ma tutto questo non piace alla narrazione mainstream, che continua a ignorare la responsabilità di Hamas.
A Gaza si continua a combattere e cercare gli ostaggi
Le unità Yamam, forze speciali delle forze armate israeliane, nei giorni scorsi hanno liberato 2 ostaggi, presi ill 7 ottobre, grazie ad un’operazione a Rafah, nel Sud della Striscia. I rapiti sono stati liberati dopo una sparatoria con i terroristi di Hamas e poi trasferiti subito in elicottero in ospedale. Secondo Hamas ci sarebbero state circa 100 vittime palestinesi negli attacchi nei pressi di Rafah, dove sono ammassati molti dei profughi sfollati dal Nord della Striscia. Sempre a parere di esponenti dell’organizzazione terroristica, i rapiti non erano nelle mani dei miliziani, ma “ospitati” in una famiglia di Gaza. L’operazione è frutto di giorni di riunioni dello stato maggiore israeliano presenziato dal premier Netanyahu. Mentre la 98^ divisione e la settima brigata di Tsahal hanno attuato un diversivo nella città di Khan Younis, le forze speciali di Yaman hanno fatto irruzione nell’abitato di Rafah, dove l’intelligence aveva individuato il luogo di prigionia di alcuni ostaggi. A Rafah sarebbero ancora detenuti circa 134 ostaggi e Netanyahu sta facendo pressioni per il rintraccio dei rapiti. Un’operazione che aumenterebbe il prestigio del Premier ed eliminerebbe anche le tensioni interne al governo di Gerusalemme. Nel contempo, l’intelligence israeliana avrebbe individuato Yahia Sinwar, con una donna e due bambini, in un tunnel di Khan Younis. Un segnale che dovrebbe fare riflettere sulla volontà di Netanyahu di continuare l’offensiva sino alla totale distruzione dell’organizzazione terroristica di Hamas e, soprattutto, dei suoi vertici. Questo nonostante le pressioni internazionali per un cessate il fuoco, senza tenere conto che l’attacco del 7 ottobre scorso è stato perpetrato contro Israele e non ha coinvolto i Paesi che sostengono la richiesta. Secondo fonti attendibili dell’Intelligence israeliana, l’offensiva proseguirà sino alla totale liberazione di tutti gli ostaggi e la completa distruzione delle infrastrutture di Hamas, ivi comprese le rampe di lancio dei missili e dei famigerati tunnel. Netanyahu sarebbe ben determinato e sa bene che il sostegno alla sua leadership è legata proprio a questo.
Israele è comunque isolato
L’Egitto ha schierato le proprie truppe al confine di Rafah per contenere eventuali infiltrazioni di terroristi, mentre la Giordania pare mantenere una posizione di stallo. In Libano, invece, la polizia e l’esercito reprimono manifestazioni dei sostenitori di Hamas ed Hezbollah, ma molti appartenenti all’esercito parteggiano per Nasrallah e l’Iran.
Al contempo, la missione congiunta dei paesi europei e degli Usa contro le aggressioni degli Houthi yemeniti nel mar Rosso pare dare i suoi primi effetti, anche se nel contesto di una situazione intricata e in fase di sviluppo. La speranza di tutti è quella di una liberazione degli ostaggi e la cattura dei terroristi di Hamas, da non confondere con la popolazione palestinese, già sofferente da mesi per le bombe e la carenza di generi alimentari.