Ancora, stavolta su Winston Churchill. Sì, scrisse articoli per Il Popolo d’Italia e, sebbene limitato al periodo in cui anche Mussolini provava antipatia per Hitler (e per il nazismo), vi fu un tempo in cui Churchill ammirava Mussolini. Non gliene faccio una colpa, e ve ne spiego le ragioni.
Ancorché non ne siamo più abituati, l’Italia, l’Inghilterra e la Francia erano considerate negli anni a cavallo tra il primo dopoguerra e gli anni venti le tre potenze più influenti del mondo. Due monarchie e una Repubblica un po’ debole. Dopo il 1918, la società vittoriana in Inghilterra ed umbertina e post-umbertina in Italia vissero stravolgimenti incredibili. A Londra i laburisti (i socialisti) erano ormai alla guida del Paese e in Italia uno stanchissimo Giolitti, nel cosiddetto biennio rosso, evitò di fatto una rivoluzione proletaria che avrebbe instaurato un soviet italiano. I leader alla Crispi, alla Giolitti e alla Salandra – politici forti ma non certo autoritari – erano al crepuscolo, sull’orlo della tomba se non già sottoterra e i due partiti maggiori, quello socialista e quello popolare non erano stati in grado di esprimere una leadership così forte da influenzare anche la nomina da parte del sovrano di un Presidente del Consiglio al di fuori della vecchia classe liberale, ormai decrepita. Il già maturo Winston, da acuto osservatore, lo aveva compreso. Se la monarchia più forte d’Europa dopo quella britannica, e cioè quella Sabauda, avesse lasciato il posto a una Repubblica socialista la prossima a cadere sarebbe stata quella di Londra. E ciò era inammissibile. Per questo l’ascesa di Mussolini, un ex socialista e un repubblicano, in quel tempo, apparve all’occhio della vecchia Europa, il peggiore dei mali. E in effetti a Roma e a Londra il clima migliorò e lo spettro del comunismo “che si aggirava per l’Europa” andò in soffitta. Delle infamie del fascismo e del regime coloniale britannico sappiamo i fatti. Inutile ricordarli in questa sede.
Spiegata, a mio avviso, la colpa di aver provato “simpatie” sul fascismo, vengo ora sul perché. Churchill – che da conservatore si iscrisse al Partito Liberale per ben vent’anni, prima di tornare ai Tories e guidarli per 15 anni in 2 governi – era convinto che il sistema democratico puro fosse un sistema con dei mali (era pur nato sotto le glorie dell’era vittoriana, scusate) ma che, tutto sommato, per esperienza e per storia, gli inglesi, anzi, gli anglofoni, fossero gli unici sul globo a poterlo sopportare, supportare e conservare. Pensava, al contrario, che gli italiani, per storia sempre alieni a simili tradizioni, fossero pericolosamente inadatti a proseguire con quel regime. E non aveva tutti i torti. Per questo sostenne, all’inizio, Mussolini. Non farò l’elenco dei democristiani, dei socialisti, dei liberali e dei comunisti italiani che, alla pari di Churchill, sostennero il fascismo. Basti pensare che almeno tre di questi diventarono Presidenti della Repubblica e che una dozzina abitarono in Palazzo Chigi e sono passati alla storia come alfieri della nostra democrazia.
Detto ciò se vi fu un uomo nella fase più complessa ad opporsi al fascismo e al nazismo, questi risponde al nome di Winston Churchill. Né gli Stati Uniti, né l’Unione Sovietica ebbero il coraggio di opporvisi così ardentemente sino a quando le cose sembrarono ormai irreparabili. Winston Churchill è a mio avviso il vero vincitore del nazismo e se oggi tra Parigi, Roma e Berlino prosperano democrazie mature di lui e in gran parte di lui è il merito storico.
Colonialista? Sì, certo che lo fu. In un’epoca in cui sostenere le istituzioni del proprio Stato era la normalità e la bellezza di avere un giardino di casa era la normalità. Quale colpa avrebbe? Non aver vissuto nell’epoca moderna? La stessa che tra cent’anni verrà vista come noi vediamo quella vittoriana? Sarebbe come rimproverare Giulio Cesare per aver conquistato la Gallia, avergli dato una lingua e un sistema di leggi che permisero la nascita di una nazione che poi avrebbe prodotto sul piatto della storia del mondo la rivoluzione francese. Senza Cesare non ci sarebbe stato Robespierre. Come non ci sarebbe stato un Voltaire o un Cartesio. Ci sarebbero ancora i Druidi o Vercingetorige. Sarebbe come contestare Galileo perché non aveva compreso cosa fossero le orecchie di Saturno, che poi si scoprirono essere asteroidi. O come rimproverare l’ebreo San Paolo di antisemitismo. O come contestare a San Francesco o a un Dante di essere dei talebani del cattolicesimo. Perché tali furono se adottassimo certi criteri e certi paradigmi.
Per questo la storia è storia, e la cronaca è cronaca.
Per tali motivi non ha senso processare il passato con gli occhi e la cultura del futuro. E per tutte queste ragioni queste sconsiderate manifestazioni, se fossero condivise dalla maggioranza delle persone, avrebbero il triste merito di azzerare la grande storia, quei miti che andrebbero apprezzati, amati e venerati perché figli del loro tempo. Che per sfortuna o per fortuna è il nostro.