Se è vero che Mario Draghi è l’unico italiano in grado di spendere il suo prestigio internazionale per garantire il nostro sgangherato Paese, allora la politica farebbe bene a rassegnarsi e quindi eleggerlo Presidente della Repubblica. E forse i partiti hanno da tempo interiorizzato questo passaggio, con conseguente ‘elaborazione del lutto‘ che in alcuni casi è ancora in corso.
Oggi, alla Camera, i grandi elettori sono chiamati per la terza volta al voto per eleggere il successore di Sergio Mattarella al Quirinale. E si prevede un altro diluvio di schede bianche. Da domani, quando il quorum si abbasserà, potrebbe essere la volta buona. Al netto di tutte le speculazioni e dei tatticismi che in queste ore affollano la cronaca politica, la vera battaglia che in queste ore si sta consumando all’interno dei Palazzi sarebbe quella sulla formazione del nuovo governo qualora Draghi dovesse salire al Colle. I partiti non vogliono andare al voto, e questo è l’unico collante di una maggioranza che dovrà eleggere il nuovo Presidente della Repubblica. Allo stesso tempo, le poltrone in ballo sono tante e gli appetiti pure. Dalla carica di Presidente del Consiglio fino all’ultimo posto da Ministro senza portafoglio, i posti da occupare fanno gola a tutti. E Draghi di questo è consapevole. Qualcuno vorrebbe il Premier attivo nella campagna elettorale per il Quirinale, altri invece lo raccontano silente e in attesa degli eventi. Altri ancora lo dipingono arrabbiato per la gestione confusionaria dei partiti. E ogni racconto potrebbe avere il suo fondamento. Ma ciò che pare indiscutibile, è il rischio che la politica corre giocando una partita a scacchi con il diavolo. Al momento, a parte alcuni esponenti, non si nota sulla scena un vero kingmaker, il regista, per semplificare al massimo il significato di un termine entrato con prepotenza nella narrazione del voto per l’elezione del Presidente della Repubblica.
Piuttosto, si ha l’impressione che la confusione regni sovrana. Tra telefonate, incontri, vertici, pranzi, cene e colazioni, la politica si è avvitata su stessa perché, come sempre, ognuno è portatore dei propri interessi e non di quelli della collettività E proprio partendo da questo assunto il diavolo trova spazio per giocare la sua partita e vincere. Divisi, rissosi e profondamente ideologizzati (a volte anche rischiando di apparire ottusi), i politici (forse) non hanno compreso che stanno combattendo una battaglia persa in partenza. Alla fine, il diavolo mangerà tutti i pedoni e metterà sotto scacco il Re.
Per uscire dall’empasse in cui i partiti si sono ficcati, probabilmente occorrerebbe avere una visione del futuro che spesso manca anche ad alcuni analisti e commentatori. Il mondo corre veloce e ragionare ancora su vecchi schemi non ha senso. Per quanto la narrazione sia affascinante, i modus operandi della compianta Prima Repubblica non sono applicabili per mancanza di uomini e circostanze. Allora che fare? In primis liberarsi della visione complottista e surreale proposta negli ultimi dieci anni da uno specifico movimento popolare che ha contribuito ad abbassare il livello culturale e politico del Paese. Sarebbe utile anche abbandonare alcuni slogan (a destra come a sinistra) che hanno caratterizzato una stagione politica ormai lontana.
Per capirsi: comunisti e fascisti sono termini anacronistici che non raccontano nulla dell’attuale società. Come potrebbero i millenial concepire un mondo simile a quello della Guerra Fredda? Come impedire alle nuove generazioni la contaminazione con altre culture (che non significa e non deve essere “porti aperti”, anzi)? La ricerca del lavoro di qualità all’estero da parte dei nostri giovani, ad esempio, non avviene sempre e solo per mancanza di possibilità in Patria. A volte nasce dall’esigenza di conoscere e misurarsi con nuove realtà.
E allora, se tutto questo è vero, la politica dei partiti attualmente presenti in Italia puzza di vecchio. Anche nella gestione della scelta del nuovo Presidente della Repubblica. Lo dimostra il fatto che per tutti sarebbe più facile riconfermare Sergio Mattarella. E proprio il capo dello Stato uscente ha compreso che serve un cambiamento forte, che ci porti sulla scena internazionale per meriti e non per demeriti. E se questo significa avere al Quirinale un banchiere (termine che il mondo della sottocultura complottista e movimentista ha sempre usato in modo dispregiativo), allora significa che la politica italiana è incapace di avere visione del futuro.