In Libia il voto di dicembre potrebbe essere a rischio. Mentre il mondo intero segue con apprensione ciò che accade in Afghanistan per le evidenti ripercussioni, a pochi chilometri dalle coste italiane l’instabilità regna sovrana. Il nuovo governo di presunta unità nazionale guidato da Abdul Hamid Mohammed Dbeibeh, frutto dell’ennesima mediazione Onu, ha inglobato un po’ tutte le anime. Uomini di Haftar, fedeli di Sarraj (il premier imposto dall’Onu e predecessore di Dbeibeh), esponenti dei Fratelli Musulmani, qualche ex gheddafiano, simpatizzanti della Turchia e così via.
Un calderone che è servito a distribuire cariche a destra e a manca nel tentativo di tenere unito il Paese e condurlo al voto del 25 dicembre. A capo di questa coalizione l’uomo ormai noto nell’ambiente come “l’imprenditore con la pancia piena”, che pure avrebbe buone idee per il futuro della Libia. Ma il voto è un’incognita per tutti e alcuni componenti di questo governo, che nel frattempo forti della carica di sottosegretari a “qualcosa” girano per Tripoli alla guida di lussuose e potenti automobili simbolo del potere tanto desiderato, iniziano a storcere il naso davanti alla prospettiva elettorale. Consci, probabilmente, che il risultato delle urne non sarebbe loro favorevole.
E in questo caos arriva anche lui, Saif Gheddafi, che spariglia le carte di tutti. Il figlio dell’ex Rais, come da anni ripetiamo in solitudine da queste pagine, potrebbe essere la sorpresa (solo per gli analisti e i commentatori più distratti però), del voto in Libia. Saif è sceso in campo e tra i libici gira una voce (inquietante solo per i sinistri di casa nostra et similia): “Se Saif si candida vince le elezioni a mani basse”. Nonostante le accuse di genocidio, il popolo libico guarda con favore all’erede di Gheddafi.
E l’uomo in questione pare ne sia consapevole. In un’intervista piuttosto controversa rilasciata al New York Times (Saif pare non sia rimasto affatto contento del risultato e forse a breve potrebbe rispondere, magari attraverso i media russi), il figlio prediletto di Gheddafi ha lanciato un messaggio molto chiaro: quelli che fino a ieri sono stati i miei carcerieri oggi sono dalla mia parte. E, secondo fonti locali, l’affermazione di Saif corrisponderebbe a verità. Nel dialogo avuto con il giornalista del famoso quotidiano americano, Saif ha accusato i politici libici definendoli “violentatori del paese” e responsabili delle condizioni di disagio sociale e economico della nazione: “Non ci sono soldi, non c’è sicurezza, non c’è vita, non c’è benzina. Mentre noi esportiamo petrolio e gas in Italia: diamo la luce a metà dell’Italia ma noi abbiamo blackout continui. È più di un fallimento, è un disastro totale”.
Al momento, Saif disporrebbe di un paio di tv locali che lo supportano nella propaganda. Attraverso i media invita la popolazione a registrarsi per il voto di dicembre e la quota degli iscritti avrebbe già superato i 3 milioni.
Un colpo, forse, per alcune Cancellerie europee e Occidentali che ancora immaginano di poter interferire e manipolare l’autodeterminazione di un popolo. L’Afghanistan e il ritorno dei Talebani sono la prova di quanto sia effimera l’illusione di esportare la democrazia secondo i canoni occidentali in paesi totalmente diversi da noi.
E la Libia è tutto questo. Le conseguenze della caduta di Gheddafi e della Primavera araba sono sotto gli occhi di tutti. L’Europa, e l’Italia in particolare, stanno pagando il conto di decisioni scellerate che hanno destabilizzato un quadrante delicato e fondamentale per gli equilibri del Mediterraneo.
Ma non solo. L’operazione “esporta la tua democrazia, anche con la guerra” che tanto è piaciuta alla sinistra italiana e europea, ha lasciato campo libero al terrorismo. Oggi nel sud della Libia, secondo i numerosi report dell’intelligence italiana e europea, sono stanziate cellule di Al Qaeda (Aqmi), Daesh (Iswap) e Boko Haram che gestiscono quel traffico di esseri umani che l’Europa e l’Italia non riescono a bloccare.
La sensazione in alcuni ambienti, a questo punto, è che l’Occidente democratico (sempre quello che ha trascorso gli ultimi 20 anni in Afghanistan), dovrà ingoiare un altro boccone amaro: dopo i Talebani il ritorno di Gheddafi in Libia.