Fratellanza musulmana, Qatar e Turchia tenteranno di ostacolare le elezioni in Libia per evitare che si formi un governo voluto dal popolo. Ne è convinto Aguila Saleh, il presidente della Camera dei rappresentanti libica (il Parlamento di Tobruk), che in un’intervista rilasciata al quotidiano Asharq Al-Awsat, punta il dito proprio contro i tre paesi che, a suo dire, attraverso la Fratellanza potrebbero influire sul voto. “Cercheranno di bloccarlo – ha detto Saleh – ma se i libici si uniranno, penso che imporranno la loro volontà e si terranno le elezioni. Il nostro popolo è ben consapevole dell’importanza di questo processo”.
Un processo che in Libia incontra notevoli difficoltà. Dopo la caduta di Gheddafi, il paese è nel caos e il governo di unità nazionale voluto dall’Onu è considerato dallo stesso Saleh una “frode”, la “parola conciliazione adottata dalla missione Onu è di per sé una forma di frode”. Un pensiero condiviso da molti libici, divisi in fazioni, tribù e gruppi che faticano a trovare accordi, soprattutto economici.
Nel panorama desolante del paese nordafricano, la voglia di stabilità dei libici è strettamente legata al destino dell’Italia e alla gestione dei flussi migratori. Concetti ormai noti che però faticano a trovare una concreta attuazione.
Le elezioni, inoltre, rischiano di trasformarsi in un ulteriore motivo di scontro tra le fazioni libiche. Ma l’intervento dell’Onu, sebbene auspicato, avrebbe delle grosse lacune. Saleh, infatti, accusa le Nazioni Unite di “rimangiarsi” gli impegni presi per organizzare il voto. “Se le Nazioni Unite ci sostengono – ha aggiunto – ci sono le condizioni di sicurezza per le elezioni. Abbiamo tutta la legislazione necessaria per l’organizzazione di elezioni presidenziali e parlamentari. Ma Salamé (l’inviato Onu in Libia, ndr) al mattino dice una cosa e alla sera un’altra. Sostiene il governo che ci è stato imposto dalle potenze straniere. Vuole che questo governo resti al potere”.
E proprio in merito al governo creato dall’Onu, le parole del rappresentante di Tobruk (esecutivo non riconosciuto dalla comunità internazionale), puntano dirette al capo del governo antagonista con sede a Tripoli invitandolo a lasciare “senza dubbio” l’incarico.
L’ora di Fayez al-Sarraj, dunque, sembra scoccata. L’invito di Saleh suona un po’ come una minaccia e, a dire il vero, per il capo del governo di unità nazionale le campane suonano a morto da tanto. La sua figura non è stata mai digerita dai libici che lo considerano ( a ragione) “l’uomo degli stranieri”. I suoi anni di governo (insediato nel 2015 e annunciato tra squilli di tromba dell’Onu e non solo), si è svolto all’insegna del terrore e della paura. I suoi nemici, a cominciare da Tobruk e dal generale Khalifa Haftar, lo hanno sempre considerato l’esponente della comunità internazionale che non si occupava veramente degli interessi dei libici. Secondo alcune fonti, infatti, il povero Sarraj è sempre stato costretto a vivere blindato per il serio rischio che qualcuno attentasse alla sua vita. E così, dalla dimora di Tripoli ha provato in questi anni a risollevare le sorti del Paese seguendo le indicazioni di altri Stati e altri governi. Eletto da nessuno e odiato da tutti i suoi connazionali, per Serraj è arrivato il momento di fare un passo indietro. L’ultimo invito (si fa per dire), è arrivato da Aguila Saleh, ma altri potrebbero seguire. Del resto, lo stesso Haftar da tempo sta preparando la marcia su Tripoli.