Sì alle armi difensive, no a quelle offensive. Giuseppe Conte, leader del Movimento 5 Stelle, è stato netto sulla fornitura di armi a Kiev. Secondo l’ex premier gli ucraini hanno il diritto di difendersi e vanno aiutati a farlo, ma non con armi che possano ampliare il conflitto. E invoca un’escalation diplomatica. Ora, la domanda sorge spontanea: che cosa intende Conte quando parla di armi difensive? Cosa bisognerebbe inviare agli ucraini per rimanere nel perimetro del ragionamento contiano? Perchè se si va a vedere, tranne elmetti, scudi, corazze e forse qualche sistema antimissilistico, sono davvero poche le armi che possono considerarsi solo difensive. Ad esempio, fucili, missili, carri armati, sono armi offensive o difensive? Dipende da chi le usa forse? Non è chiaro, e si rischia davvero di complicarsi la vita tentando di seguire il ragionamento di Conte. Anche perché lo stesso leader M5S non ha spiegato quali armi ritiene siano solo difensive e quali solo offensive. Si è limitato a dire: “Siamo per il legittimo esercizio del diritto alla difesa da parte della popolazione ucraina ai sensi dell’articolo 51 della Carta dell’Onu. Non vogliamo quindi che ci sia una escalation militare, vogliamo che ci sia una escalation diplomatica”. Quindi, non ha risposto. Perché lo sanno tutti: le armi sono armi e anche con quelle “difensive”, per dirla alla Conte, si può ad esempio preparare un attacco offensivo in Russia da parte degli Ucraini.
A questo punto, per andare incontro alle richieste dei 5S si potrebbe scrivere un messaggio sugli imballi delle forniture (qualunque esse siano). Qualcosa tipo: “Attenzione! Usare solo come armi difensive. In caso contrario la fornitura sarà sospesa”. Se non fosse tragico sarebbe ridicolo. Perché mentre sull’Ucraina piovono missili e centinai di civili perdono la vita in un conflitto di cui ancora non si vede la fine, in Italia il rampante avvocato del popolo guarda il proprio tornaconto politico. E dovrebbe almeno avere il pudore di tacere visto il quadro di instabilità nel quale si trova il suo Movimento a causa di personaggi particolari che ricoprono ruoli istituzionali. Come quel Vito Petrocelli, presidente della Commissione Esteri del Senato, di cui già ci siamo occupati in queste pagine per le sue posizioni filocinesi e filorusse.
Espulso dal Movimento 5 Stelle dopo il tweet sul 25 aprile con la ‘Z’ maiuscola, simbolo dell’aggressione della Russa all’Ucraina, che ha lasciato di stucco un po’ tutti. Petrocelli, però, ancora resiste attaccato alla poltrona e in tutto l’arco parlamentare, o quasi, si lavora per rimuoverlo dalla presidenza della Commissione. Le strade da percorre non sono moltissime, anzi sono un paio. Quella più semplice sarebbe ottenere le dimissioni di Petrocelli e mettere fine alla sua esperienza a capo della Commissione. Ma l’uomo è caparbio e resiste. Allora si potrebbe percorre la strada delle dimissioni in massa di tutti i componenti per far decadere la commissione e quindi la presidenza. Per oggi, alle 18.30, è convocata la Giunta per il Regolamento del Senato proprio per affrontare il caso Petrocelli. Tutti, o quasi, chiedono la testa dell’ex (a questo punto) esponente dei 5 Stelle e sono emersi già precedenti che potrebbero aiutare a deporlo. Il capogruppo di FdI in commissione Esteri del Senato, Adolfo Urso, ha ricordato che esistono “diversi precedenti che consentono al presidente del Senato di sciogliere la Commissione per ‘evidente inoperatività’. Lo fece l’allora presidente della Camera Sandro Pertini, quando nel 1974 revocò la Giunta per le elezioni proprio per la sua ‘inoperatività’. Il 7 marzo del 1980, a seguito delle dimissioni dei suoi membri, la Commissione di inchiesta sulla strage di via Fani e l’assassinio di Aldo Moro fu sciolta dai presidenti di Camera e Senato Nilde Jotti e Amintore Fanfani per un caso simile a quello di Petrocelli che riguardava un componente la Commissione. Ed infine nel 2009 i presidenti di Camera e Senato, Gianfranco Fini e Renato Schifani, sciolsero la Commissione di vigilanza Rai per consentire alle forze di opposizione di eleggere un presidente da loro indicato al posto di Riccardo Villari, il quale non intendeva dimettersi. Insomma, ci sono diversi precedenti che confermano la piena fattibilità di dimissionare Petrocelli”.
Dunque la reggenza Petrocelli alla Commissione Esteri del Senato potrebbe essere arrivata al capolinea. E ci auguriamo anche l’avventura politica dell’intero Movimento. Perché pure Beppe Grillo è in vena di strampalerie, più del solito. Sul suo blog ha lanciato l’ennesima proposta che definire sui generis è un eufemismo. Secondo il comico bisognerebbe adottare il modello Costa Rica: “Nel 1948 José Figueres, presidente del Costa Rica smantellò l’esercito. I fondi per la difesa furono assegnati all’istruzione e alla sanità. Le banche, le assicurazioni, tutti i servizi di pubblica utilità e le ferrovie furono statalizzati”. E poi il Paese divenne il paradiso terrestre. Andiamo tutti a vivere in Costa Rica!