Alla vigilia delle elezioni politiche, in una campagna elettorale infuocata, Luigi Di Maio tenta il tutto per tutto in Libia. Secondo fonti di Palazzo Chigi, il ministro degli Esteri uscente vorrebbe “lasciare il segno” del suo mandato contribuendo in modo significativo alla stabilizzazione del paese nordafricano. Qualcosa da esibire anche durante i comizi estivi. Un progetto ambizioso quanto irrealizzabile, soprattutto vista la condizione di caos in cui versa la Libia. Tuttavia, il ministro degli Esteri, che da Mario Draghi ha ottenuto l’esclusiva sulla gestione del dossier Libia mettendo ai margini altri Ministri che avrebbero avuto qualcosa da dire e fare, ha commissionato un vertice a Istanbul dagli esiti, al momento, piuttosto fumosi.
A fine luglio infatti, attraverso l’inviato speciale per la Libia, Nicola Orlando, si è svolto un incontro in Turchia, attore che insieme alla Russia ha di fatto sbattuto l’Italia fuori dal Paese, con la complicità della nostra classe politica inerte da anni in quei territori. Orlando, dunque, ha riunito a Istanbul gli ambasciatori di Italia, Germania, Regno Unito (che nei giorni successivi, il 27 luglio scorso, ha presentato una sua risoluzione), Usa, Turchia, Egitto, Francia, oltre al Consigliere Speciale del Segretario Generale Onu per la Libia, Stephanie Williams. A questi, l’Italia ha presentato il suo piano per la stabilizzazione della Libia attraverso un percorso che porti al voto. Ma la reazione sarebbe stata più o meno quella del piano presentato nei mesi scorsi per arrivare al cessate il fuoco in Ucraina. Anche perché, raccontano a Palazzo Chigi, al vertice i grandi assenti erano proprio gli attori libici ai quali il piano è stato esposto in seguito. Nei giorni successivi al vertice di Istanbul, infatti, a Nicola Orlando e all’ambasciatore Buccino è toccato l’onere di incontrare il premier “scaduto” Dbeibeh a Tripoli e il premier di Tobruk, Bashagha, per illustrare la proposta. Orlando, nella fattispecie, su input di Di Maio, si sarebbe speso e non poco per questo vertice. Ma la credibilità dell’Italia in questo momento sarebbe quasi pari a zero. In Libia, così come tra i vari ospiti del tavolo in Turchia, le perplessità sarebbero state tante, soprattutto quelle legate alla scadenza del mandato del ministro degli Esteri italiano e l’avvento di un nuovo governo a ottobre. Quindi, la proposta dell’Italia, i cui termini rimangono “riservati”, rischia di finire in una bolla di sapone per la mancanza di un appoggio politico serio, da tutte le parti.
Ma non solo. A compromettere ulteriormente la situazione e il ruolo del nostro Paese in Libia, lo scontro tra tribù e clan che appoggiano Dbeibeh e Bashagha e che rischia di trasformarsi in una vera e propria guerra civile. Con Saif Gheddafi, il figlio prediletto dell’ex rais, che soffia sul fuoco del malcontento invitando il popolo a “rompere il muro della paura” per riprendersi in mano le sorti del Paese. Tutto questo mentre la nostra missione militare in Libia potrebbe essere a rischio.
Ma Di Maio ha avocato a sé i “pieni poteri” sul dossier Libia nonostante i mal di pancia di alcuni Ministri del governo Draghi. E anche i servizi segreti, in particolare l’Aise guidata da Giovanni Caravelli, avrebbe più volte prospettato criticità e possibili linee di intervento, soprattutto per quello che riguarda il gas. Il cambio al vertice della National Oil Corporation (Noc) e il blocco delle esportazioni di petrolio durato un mese e ripristinato il 20 luglio scorso, hanno imposto al titolare della Farnesina di prendere in considerazione gli alert arrivati da tempo con una certa continuità e spesso ignorati.