a cura di Eques
A Piacenza, un gruppo di criminali ha tentato di uccidere un brigadiere dei Carabinieri, dopo averlo scaraventato a terra. Lasciamo da parte la diversità di atteggiamenti dei politici, più o meno di tutte le parti, interessati a utilizzare questa brutta storia a soli fini elettorali, e dei media, ognuno proteso a proporre la sua partigiana verità, e cerchiamo di analizzare la vicenda sotto un profilo diverso.
Nella situazione che tutti abbiamo visto nei numerosi video trasmessi, un certo numero di persone, di sicuro molti di più di quelli fermati giorni dopo, hanno colpito ripetutamente (visibilmente con mazze e bastoni, ma non può certo escludersi anche con altro, visto che solitamente questi bei tomi sono usi portare anche i c.d. “tirapugni”, oggettini poco visibili, ma tremendamente efficaci), e con lo scudo strappatogli di mano, un sottufficiale dei Carabinieri, mentre stava cercando di impedire insieme ai suoi commilitoni, il perpetrarsi di reati.
La loro azione era indirizzata a qualcosa, e la prima domanda che ci si dovrebbe porre è proprio questa:
colpire ripetutamente, su tutto il corpo un uomo, dopo averlo fatto cadere a terra, può essere indirizzato a un solo fine, la sua soppressione fisica, cioè a ucciderlo? Ovviamente, e non desta certo stupore, nessuno dei tanti, anche troppi che ne hanno parlato, ha detto una sola parola su questo aspetto.
L’altra domanda che ci si deve porre allora e che, come poi ho scoperto, in tanti si sono posti, è, per quale motivo, a fronte di un’azione dai connotati inequivocabili, non si sia fatto uso delle armi d’ordinanza, che proprio per tali evenienze sono in dotazione?
Se non si usano le armi per respingere una violenza, o impedire la commissione di un omicidio (come dice il codice), quando si possono usare? Prima di rispondere ricordiamo alcuni principi, apparentemente da tutti condivisi, anche se, nella pratica, fin troppe volte calpestati.
Tutti hanno diritto di esprimere il proprio pensiero e di manifestarlo, o per contrastare le idee e le iniziative degli altri, neanche se quelle fossero caratterizzate da violenza, posto che per questo ci sono gli organi preposti.
Di sicuro, per esercitare i propri diritti, a nessuno è consentito usare la violenza.
In sintesi, nessuno può fare, o farsi, giustizia da sé. E qui non ci troviamo certamente neppure in un caso di reazione a un’aggressione, o di giustizia fatta in casa, ma di una consapevole aggressione verso un uomo, che però rappresenta lo Stato, e che era lì proprio per difenderlo.
È lo Stato, attraverso gli organi a ciò deputati, ad avere il compito, che corrisponde però anche a un dovere, di opporsi a qualunque violenza, ove necessario anche con la violenza, certamente con proporzionalità adeguata, al fine di imporre il rispetto della Legge, e solo chi è in mala fede può affermare che questi principi siano oggi rispettati.
Ci sono infatti alcune frange, senza dubbio numericamente insignificanti, ma molto rumorose, violente e, diciamolo chiaramente, da troppi protette che, inneggiando a democrazia e pacifismo, pretendono di impedire agli altri, indistintamente accomunati nella categoria dei “fascisti” (utile per tutte le stagioni), di esprimere il loro diverso pensiero, e soprattutto, di manifestarlo. E se le Forze dell’Ordine cercano, come è loro dovere, di impedirlo, immediatamente divengono obbiettivo di questi criminali.
Il problema però è un altro. Il criminale, per definizione è in contrapposizione alla Legge, e quindi alla fine, neppure stupisce più di tanto, ma in casi come questo, chi gestisce l’ordine, intendendo con ciò certamente non chi si trova sul campo, ma quelli che, ben distanti, impartiscono ordini e disposizioni a quelli che la pelle la rischiano davvero, che fa, e soprattutto, con chi sta?
Incomprensibilmente, in un Paese in cui, a ogni minima violazione di norme, normette, regolamenti o disposizioni, ovviamente nei confronti dei normali cittadini, dei non violenti, ferme e decise scattano le sanzioni, i violenti vengono invece lasciati liberi di proseguire nelle loro azioni, e non vengano posti nelle condizioni di non nuocere. Continuamente si sentono gli accorati appelli dei diversi leader che sentendo incomprimibile l’esigenza di far sapere a tutti quel che gli passa per la testa, ribadire con la massima fermezza e decisione, il sacrosanto diritto di manifestare, di fare cortei, di sfilare, ovviamente a condizione che a far tutto ciò, siano solo quelli della loro parte, ma non si sente un alito da loro, quando i loro protetti (o sodali?), si rendono responsabili di veri e propri atti di insurrezione.
Perché nessuno di quelli che tuonano contro gli avversari per un nonnulla, non dicono nulla quando un Carabiniere viene massacrato così, o come quando una donna, l’onorevole Meloni, viene vilmente aggredita e insultata come è accaduto a Livorno?
Qualcosa non funziona.
Ricordiamo, a chi gestisce le Forze dell’Ordine, che gli strumenti in dotazione, esistono per essere usati quando occorre, certamente con adeguatezza e proporzionalità, graduandone l’utilizzo, in relazione alla situazione da affrontare, ma certo non per abbellire l’uniforme. Per valutare cosa è accaduto a Piacenza, dobbiamo allora domandarci innanzitutto come inquadrare le condotte di coloro che vi sono state coinvolti.
Le Forze dell’Ordine erano lì per garantire l’ordine pubblico, la pubblica incolumità, e sedare, ove insorti, i possibili, e forse stavolta dovrebbe dirsi prevedibili, disordini.
I manifestanti, per loro libera scelta, a chiacchiere per manifestare il dissenso verso i loro chiamiamoli antagonisti, ma in realtà, come i fatti, nella loro oggettività, hanno dimostrato, per cercare lo scontro fisico, e quindi in esecuzione di un consapevole e pianificato disegno criminoso, per creare disordini e tumulti, in quella che non è quindi affatto azzardato definire come una vera e propria sommossa.
Il termine “sommossa”, significa insurrezione, ribellione, rivolta, sedizione, sollevazione, tumulto.
È una forma di disordine caratterizzata da gruppi non omogenei di individui, le cui caratteristiche sono la violenza estrema, il vandalismo e altre forme di criminalità, tali da poter far sfuggire la situazione dell’ordine pubblico al controllo delle forze dell’ordine. Il pericolo che si corre nel lasciarla sfogare senza intervenire, è che i danni si riversino su chiunque si trovi sul loro cammino, quasi sempre estemporaneo e derivato dal succedersi degli eventi, e quindi imprevedibile. Sono comportamenti tipicamente caotici, mossi da azioni individualiste e non coordinate, assimilabili in molti casi al comportamento del gregge, che segue i primi, per alcuni senza neppure realizzare quel che sta realmente accadendo.
Raramente sono individuabili leader che dirigono sul campo ma, specie nei casi in cui è evidente che le condotte dei singoli siano coordinate, è impensabile che non ve ne siano e che non seguano una precisa regia.
Caratteristica costante in ogni sommossa, dalla più piccola e improvvisata, a quella più pianificata, è un panorama di danneggiamenti e distruzioni di proprietà pubbliche e private: negozi, automobili, ristoranti, sedi di istituzioni e edifici di culto, spesso accompagnati da ferimenti, sia di quelli che sono stati eletti a nemici, che di appartenenti alle Forze dell’Ordine, che di chiunque non faccia parte del gruppo.
Quel che è accaduto a Piacenza, al di là di quelle che saranno le postume interpretazioni fornite da chi sa sempre tutto, e meglio degli altri, dal sicuro di una comoda poltrona, sembra difficile non riconoscere che c’è stata una vera e propria sommossa.
Come si inquadra altrimenti il fatto che un gruppo, si è letto di circa 400 giovani, di cui molti armati di bastoni (e quindi di armi, ancorché improprie), in forma di corteo, in assenza di alcuna autorizzazione, e anzi, violando un divieto, con tumulto, hanno occupato le pubbliche vie, minacciando e insultando persone, danneggiando cose pubbliche e private, infine aggredendo le Forze dell’Ordine? Dai molti video visibili in Rete, un dato è evidente, quei soggetti hanno posto in essere atti idonei, diretti in modo non equivoco a uccidere almeno un uomo.
Si, ho scritto proprio uomo, perché non c’erano donne (per lo meno riconoscibili come tali) tra le Forze dell’Ordine. Chissà perché.
E come mai per questa discriminatoria ghettizzazione, non sono insorte le note pasionarie della parità dei diritti, attive a fasi alterne, perché in molti recenti a loro non graditi casi, non si è neppure sentita la loro voce indignata? Non sarà perché quando c’è il rischio di prender mazzate, è meglio mandare a prenderle i biechi “maschi”? Lasciamo perdere questi discorsi, e osserviamo piuttosto come questi manifestanti, “democratici”, “pacifisti”, e ovviamente “antifascisti”, hanno violato, consapevolmente e volontariamente, una serie di norme, cercando di uccidere un Carabiniere.
Al di là della gravità di quel che è accaduto, quel che però duole, e preoccupa chi non ha fatto della violenza il proprio credo, chi confida nelle Istituzioni, e nel rispetto del prossimo, è ben altro.
E si, perché qui, fermo rimanendo che quelli che hanno cercato di uccidere un Carabiniere e commesso tutti gli altri reati, sono dei criminali che debbono essere perseguiti e puniti secondo Legge, i problemi, e le domande, sono di ben più inquietante e immediata rilevanza.
Andiamole a vedere.
È normale che nella consapevolezza della presenza di soggetti che hanno già fatto sapere quali sono i loro programmi, sia stato predisposto un servizio con così pochi uomini?
È normale che quel piccolo manipolo, vista la sproporzione numerica, non avesse con sé (visto che fa parte della dotazione dei Reparti mobili), quell’inoffensivo, ma assai efficace, strumento di difesa, che tutte le polizie del mondo hanno e utilizzano, che si chiama spray al peperoncino, che neutralizza chiunque (per carità di Dio, senza fargli male, hai visto mai si dovesse fare la bua a chi manifesta il proprio democratico, e ovviamente antifascista, pensiero, sfasciando teste, spalle e tutto quel che si trova davanti!)?
È normale che il funzionario di P.S., che doveva necessariamente esser presente, per dirigere il personale (tutto il personale impegnato in ordine pubblico, di qualunque specie, è agli ordini di funzionari di P.S.), e che, a occhio, sembrerebbe esser stato in quel caso, quel tale in borghese con indosso un casco azzurro, che, allorché i manifestanti si sono fatti più aggressivi, si è defilato, senza clamore, lasciando il personale senza guida, nelle retrovie?
Ed è normale che un Reparto delle Forze dell’Ordine, per quanto misto, per quanto numericamente esiguo, per quanto senza più guida, di fronte a una violenta aggressione fisica, fugga dando le spalle all’aggressore, per di più abbandonando un collega caduto e aggredito da numerosi facinorosi?
A parte che questa vera e propria ignominiosa fuga (non potendosi diversamente definire), costituisce un comportamento tecnicamente contrario a quel che praticano tutti i reparti impegnati in ordine pubblico nel mondo, che, ripiegando volgono lo sguardo verso chi attacca, mai volgendo la schiena, è normale che in una strada stretta come quella, circondata da edifici, un piccolo contingente non sia in grado di reagire senza fuggire, al di là del numero degli aggressori, posto che il fronte non può essere composto da un numero superiore (e i video lo evidenziano bene), e questo senza scomodare altre situazioni simili, tipo, tanto per fare un richiamo a un fatto storico che, teoricamente almeno, tutti dovrebbero conoscere, e cioè la battaglia delle Termopili, dove appena 300 spartani bloccarono il passo a settemila attaccanti …. per una settimana?
È normale che quel personale fosse composto da uomini così in avanti con l’età, come il brigadiere massacrato, laddove anche un inesperto, se dovesse decidere chi impiegare per un servizio del genere, sceglierebbe giovani aitanti e non ultracinquantenni, evidentemente in forma almeno inadeguata, come quel che è successo dimostra?
Sia chiaro, nessuno avrebbe voluto vedere gesti alla Enrico Toti, che stanno bene dove sono, e cioè nei libri di storia, ma quel che è accaduto a Piacenza colpisce tutti coloro che credono nelle Istituzioni e che quando vogliono protestare, contro qualunque cosa, lo fanno in forma civile e composta.
E poi, nessuno si domanda, visto il comportamento di quel personale, se coloro che li hanno addestrati, hanno avuto allievi veramente refrattari, o forse non sono stati in grado di trasmettere il loro sapere in tema di comportamento da tenere in servizi di ordine pubblico?
Oppure si deve pensare che, in questo caso, il personale è stato raccolto da dietro qualche scrivania, e imbacuccato in quella che i media amano tanto chiamare “tenuta antisommossa”, e che, molto meno eroicamente, si chiama tenuta da ordine pubblico (che però fa molto meno effetto con il suo vero nome)?
E già, chiamandola con il suo nome, oltre a non rassicurare affatto, che immagini epiche ed eroiche si evocano?!
Ecco a cosa siamo ridotti, schiavi di questo fasullo modo di rappresentare i fatti, dipingendoli per quel che non sono, usando una terminologia che vorrebbe essere suggestiva, e che invece propone una realtà in modo squallidamente fazioso e viziato, che realtà non è.
Finirà mai questa miserabile pantomima, di cui tutti sembrano prigionieri?
Lasciamo perdere, perché per questa strada si esce dal seminato, e però vedendo quel che ogni giorno accade, e soprattutto il modo con cui le cronache lo propongono, sarà legittimo, a chi non piace esser preso in giro, almeno notarlo, oppure neppure questo si può fare in questa epoca di belle parole e di democrazia?
Viene in mente una massima latina, meravigliosa espressione della capacità di sintesi.
“Quousque tandem abutere, Catilina, patientia nostra?”, e cioè: “Fino a quando dunque, Catilina, abuserai della nostra pazienza?”.
Non ci dilunghiamo sul significato, facilmente intuibile, ma prendendo spunto da quella, poniamoci una domanda: “voi, che gestite la res publica, fino a quando abuserete della pazienza, non solo dei bistrattati, eroici, davvero, non per Piacenza, ma per quel che sopportano quotidianamente, appartenenti alle Forze dell’Ordine, e, se non disturba troppo, anche della gente?”
Vediamo però che si dice su un aspetto che nessuno dei sapienti ha neppure sfiorato, e cioè quello di Piacenza era un caso in cui sarebbe stato possibile, o doveroso, far uso delle armi?.
Secondo la Cassazione, ricorre il caso di uso legittimo delle armi, ai sensi dell’art 53 c.p., e quindi la non punibilità, per “… il pubblico ufficiale che, al fine di adempiere un dovere del proprio ufficio, fa uso ovvero ordina di far uso delle armi o di un altro mezzo di coazione fisica, quando vi è costretto dalla necessità di respingere una violenza o di vincere una resistenza all’autorità e comunque di impedire la consumazione dei delitti di strage, naufragio, sommersione, disastro aviatorio, disastro ferroviario, omicidio volontario, rapina a mano armata e sequestro di persona”.
E se non era questo un caso in cui respingere una violenza, chiaramente indirizzata alla soppressione fisica del carabiniere caduto a terra, e poco importa se per uno sgambetto, o accidentalmente, chi comandava (ah no, quello era scappato prima), o qualcun altro, avesse fatto uso dell’arma d’ordinanza, magari sparando alle gambe di quelli che infierivano, non sarebbe stato questo un caso di uso legittimo delle armi?
Giudicatelo voi.