Salendo le scale mobili della stazione metro Mairie de Saint-Ouen, sulla linea 13, quello che colpisce è la relativa calma. Siamo nel centro del piccolo comune di Saint-Ouen, alle porte di Parigi, a pochissimi metri dal municipio della città. Di fronte ad esso una piccola piazza, da cui partono molte linee autobus che collegano la banlieue alla confinante capitale francese e ai comuni circostanti. Sulle panchine si può trovare il volto di chiunque, e a quasi qualsiasi ora del giorno. Se di lunedì mattina prendono posto gli anziani, che con una copia de L’Équipe sotto braccio e il bastone appoggiato giocano a carte, al pomeriggio sono bambini e ragazzi a popolare la piazza, magari con lo zaino di scuola al seguito, sempre contornati dal tranquillo viavai di gente che scende e sale dagli autobus, a poche decine di metri di distanza. Ma è scrutando questi volti con più attenzione che ci si rende conto di come sia il multiculturalismo a farla da padrone. Basta fare un giro al mercato locale per rendersene conto: non è raro intercettare una fitta conversazione in turco, arabo o thai, a volte gli stessi nomi dei prodotti sono scritti in due alfabeti (latino e arabo), e l’ingente presenza di vari ristoranti etnici nella zona è testimone dell’estrema varietà culturale della città.
Ma questa atmosfera di pacifica tranquillità si infrange contro un’altra realtà, quella che viene raccontata dai dati sul traffico e spaccio di stupefacenti (prevalentemente cannabis) nel comune. I numeri, da questo punto di vista, sono impietosi: 50 piazze di spaccio sparse per il territorio cittadino, frequentate da circa 2.000 clienti ogni giorno, per un giro d’affari che si aggira tra i 10.000 e i 20.000 euro settimanali. Come se ognuno dei 46.000 abitanti che popolano la banlieue spendesse circa 120 euro l’anno in stupefacenti.
Numeri da capogiro che fanno apparire Saint-Ouen sostanzialmente come un gigantesco supermercato della droga a cielo aperto. E per toccare personalmente con mano questo dato bastano pochissimi minuti a piedi dal suo municipio. A un centinaio di metri di distanza, infatti, svoltando (letteralmente) un angolo, il paesaggio muta improvvisamente: l’eleganza e la tranquillità si trasformano in una transizione fin troppo rapida, lasciando il posto a giovani scuri in viso con il cappuccio delle felpa calato sulla testa e lo sguardo carico di sospetto.
Anche colori e suoni cambiano: l’elegante ocra della piazza centrale lascia il posto al rosso spento e al grigio ruvido dei mattoni di molti palazzi, sui quali la presenza dell’intonaco in ampie parti sembra essere solo uno sbiadito ricordo, mentre il vociare tranquillo della piazza unito al rumore degli autobus di passaggio viene sostituito da un silenzio inquieto, rotto solo da qualche sirena in lontananza o dalle urla di alcuni ragazzi incappucciati per strada, che sembrano essere tutt’altro che di passaggio da quegli incroci.
Le vedette e il racket della droga
Sono vedette, che non appena avvistato qualcuno di sospetto o una pattuglia della polizia avvisano con un urlo o un “Maman!” (mamma, ndr) gli abitanti dei palazzi circostanti e le altre vedette distanti poche decine di metri, che a loro volta ritrasmettono il messaggio, come in un grande telefono senza fili. In diversi di questi palazzi lo spaccio avviene a qualsiasi ora del giorno e della notte: a volte in appartamenti dedicati utilizzati anche come dormitorio, i cui letti a castello affastellati uno sull’altro sono spesso chiaramente visibili dalla strada, altre volte direttamente sulle scale del palazzo, in un fragile equilibrio con gli abitanti del luogo: un misto di paura e “farsi i fatti propri” garantisce una coesistenza quasi pacifica chi commercia stupefacenti, prevalentemente cannabis. La presenza della polizia però si fa in qualche modo sentire: i controlli ci sono, soprattutto sulle vedette, per strada, ma la copertura dei palazzi fa sì che sia semplice occultare la droga, e un’insospettabile persona in bicicletta possa placidamente andare via con la merce in tasca durante l’ispezione. Il racket, il controllo del territorio, è anche questo.
Ma Saint-Ouen non è solo fiumi di droga, come non è un impero di criminalità. È anche un lento percorso di riqualificazione urbana, avviato pochi anni fa dall’amministrazione comunale in risposta a quella che rischiava di diventare una situazione fuori controllo. Un percorso che, per la sua gradualità, porta alla luce scorci di tessuto urbano strani, contrastanti, a volte stridenti, dove è possibile trovare palazzi completamente fatiscenti ed abbandonati accanto ad elegantissime ville monitorate da numerose telecamere di sicurezza, con parcheggiate al loro interno diverse auto lussuose, affiancate a loro volta da modeste villette bifamiliari. Merito (o colpa) dei prezzi impossibili del mercato immobiliare della capitale francese, che spingono fuori dal boulevard périphérique non solo chi desidera avere un’abitazione più spaziosa, ma anche chi non può permettersi gli assurdi prezzi di un appartamento parigino.
La riqualificazione urbana
Una riqualificazione urbana forzata, che produce immagini che colpiscono. Come quella dello scheletro di cemento armato di un palazzo in costruzione ormai degradato e abbandonato da anni che fa da dirimpettaio ad una piccola deliziosa oasi di verde nel centro della banlieue, piena di bambini e vita.
“Vivo a Saint-Ouen da 10 anni” dice Cédric Wattier, lì al parco con il figlio Rafael di 4 anni e la compagna. “La città è cambiata e sta cambiando, senza dubbio”, continua, “ma la sua componente umana rimane sempre presente. È bello vivere qui: sei a dieci minuti da Parigi, ma allo stesso tempo sei lontano dalla grande città, la gente si aiuta ed è lì per te, e tu per lei. C’è un senso di comunità che non ho trovato da nessun’altra parte a Parigi, è il luogo ideale dove crescere con dei bambini”. Ma non ignora i problemi: “Certo, ci sono delle difficoltà, c’è la criminalità e c’è lo spaccio. Ma non è una realtà invadente: si può tranquillamente vivere un’esistenza pacifica, e i lati positivi sono molto più numerosi di quelli negativi”. Ma non è una scelta completamente libera: “Anche volendo, non potremmo permetterci un appartamento a Parigi e crescere come vorremmo con nostra figlia”.
Da Parigi
Stefano Fasano @stefasano
Veronica Di Benedetto Montaccini @Veronicadibm