“Lo dice sempre che è una persona fortunata, lo dice sempre, è cosciente. E’ un gran lavoratore, questo sicuro. Ha sempre lavorato, ha sempre studiato tantissimo, ha sempre letto tantissimo. In questa campagna elettorale c’è stato un allineamento degli astri che oggettivamente non poteva essere più favorevole. Ti spiego tutte le cose positive, una dietro l’altra: già dalle primarie della destra, che hanno visto perdere Alain Juppé, è stato il primo bagliore che ci ha fatto dire: ‘Ah forse, forse’. Poi è arrivata la rinuncia di Hollande, che era importante perché per lui sarebbe stato difficile essere contro, visto il rapporto umano. Poi c’è stata l’eliminazione di Valls, che come posizione politica era veramente troppo simile. In più poi è arrivato l’affaire Fillon, il ‘Penelope gate’. E allora non si può nascondere che gli astri si siano allineati bene”. Una delle collaboratrici del dipartimento opinione e sondaggi di En Marche!, Caterina Avanza, giovanissima e italiana residente a Parigi da molti anni, ha deciso di investire tutti gli sforzi dei suoi ultimi mesi per far arrivare alla poltrona più alta dell’Eliseo, Emmanuel Macron, il più giovane presidente francese mai eletto. Parlando con Ofcs.report, ha svelato il dietro le quinte del movimento che ha contribuito a far crescere.
Questa lunga campagna elettorale per arrivare all’elezione di Macron è anche un po’ sua, ci può raccontare in che modo?
“Io lavoravo all’Ifop, il più importante e vecchio istituto di sondaggi francese e ero la responsabile degli studi qualitativi. Il mio capo mi disse di osservare la nascita di En Marche! nell’aprile scorso. Quindi sono andata al suo primo meeting e ho trascritto tutti i suoi primi discorsi. Leggendo le sue parole mi sono accorta che questo ragazzo diceva un sacco di cose interessanti. Mi sono molto più avvicinata al movimento, quasi da militante diciamo. Poi quando ho scoperto che Macron aveva aperto un dipartimento studio e opinione, ho mandato un curriculum e sono arrivata così. E’ stata anche una battaglia personale, ha risvegliato il mio senso civico. E sopratutto non volevo che i miei figli crescessero in un paese anti europeo”.
Ha visto nascere quello che è un movimento e non un partito. Ci può spiegare meglio?
“Secondo me quello che differenzia En Marche!, per esempio dal PS francese, è il livello di partecipazione. Il movimento si è strutturato attraverso dei comitati locali, dei referenti territoriali. Il programma è stato costruito così, in queste riunioni partecipate e contemporaneamente grazie a riunioni di esperti tecnici, economisti, ecologisti, politologi. En Marche! è nato come un movimento di ascolto dei francesi, perché viene dalla Grand March che era semplicemente un enorme porta a porta in cui si andava con le magliette del movimento a fare i questionari a chiedere che cosa non va nel paese. E da questa diagnosi ha portato poi al programma”.
E come riuscirà Macron a mantenersi così, su questo livello partecipativo, ora che deve trovare delle alleanze, delle coalizioni?
“Questa è la sfida di domani. Sul fatto della maggioranza…come dice Macron, a forza di credere ai sogni, diventano realtà. Io non la dò ancora per vinta, se pensiamo che al primo turno siamo arrivati primi in 260 circoscrizioni, te ne mancano poi poche per una maggioranza che è sì risicata, ma c’è. Il lavoro che comincia domani è questo, il “terzo turno”. Se poi non si riesce penso ci sarà un’alleanza un po’ alla tedesca sul programma, per cercare di avere quei quattro, cinque deputati che mancano. Ma non sarà un’alleanza politica come la intendono in Italia”.
Lei ha fatto uno studio proprio dell’elettorato. Qual è l’elettore tipo di Macron?
“Ho passato un mese e mezzo del lavoro iniziale a capire quali fossero i motivi di esitazione. Qualche mese fa, quando Macron ha cominciato ad essere tra i primi nei sondaggi, si diceva che sì, certo, era primo ma poi aveva una base di elettorato molto molto indecisa. Cioè vuol dire che la metà di quelli che dicevano di stimare Macron, poi non erano pronti a votarlo. Questo è un problema perché ovviamente se poi l’elettore quando è solo nel seggio cambia idea…è difficile. Quindi tutto il lavoro è stato su quella che abbiamo chiamato “la classe meno”, che non è per forza una classe sociale economica, ma è una classe di persone meno educate, e che hanno più difficoltà nella vita quotidiana. Lavorano magari lontano o difficoltà del genere. E agli occhi di queste persone, Macron è troppo tecnico, troppo complicato da capire. E infatti, chi ha votato Macron? Un elettore colto e urbano. Anche al secondo turno dove lui per vincere ha avuto ovviamente una base più larga, nonostante tutto nelle zone rurali non siamo riusciti ad avere elettori. In quelle aree siamo molto molto più bassi di quello che speravamo”.
Perché i giovani al primo turno non hanno votato En Marche?
“Non è vero al 100%. I sondaggi esterni non sono stati correttissimi sull’età. Nel senso che dicevano che la classe che avrebbe votato di più Macron erano i giovani e i medio giovani: dai 18 ai 35 anni. Invece, è stato un’omogeneità di tutte le età. Al secondo turno abbiamo avuto una performance iper positiva nei ragazzi al primo voto e negli over 55 anni. Più che l’età, il vero discriminante di voto macroniano è il livello di studi, quello sì. E il fatto di essere urbano, anche piccole città, però nel centro storico è sempre altissimo, più si va verso la periferia e più non viene votato”.
Questo è perché Macron è visto come un personaggio molto legato alle élites, alla finanza, alle grandi imprese. Secondo lei dipende da questo?
“Penso che quello che non siamo ancora riusciti a far capire sufficientemente è quello che gli inglesi chiamano il “Ker”, cioè il fatto di avere un programma di efficienza economica a servizio del benessere dei più fragili. Le riforme che lui vuole fare non sono riforme che fanno piacere alle banche. La Loi Travail non è favorevole alle banche, basta chiederlo ai banchieri. Abbiamo avuto difficoltà a far capire che queste riforme, a lungo termine, porteranno vantaggi a quelli che oggi non riescono a essere in questa famosa mondializzazione, in questa Francia più internazionale, mondializzata”.
Macron viene definito un liberale. Questo appellativo lo rispecchia bene?
“No, affatto. E’ una persona che stima molto la libertà. Infatti si trova tra i valori fondanti del movimento insieme alla gentilezza. Libertà non è per forza liberalismo. L’idea è quella di un progetto progressista. Il problema è che per le persone non vuol dire niente. Se si guarda il programma di macron lo definirei più socialdemocratico al massimo. Certo, cerca di liberare certi meccanismi dell’economia per farla funzionare meglio, ma per servire a scuola, salute, lavoro. Il modello che lui ha sempre in testa e che ripete come un mantra è quello svedese: la flexi-economia. Una flessibilità maggiore per una protezione sociale più importante. Non si possono proteggere tutti i lavori, è impossibile, ma si devono cercare di proteggere i cittadini”.
Qualcuno dice il contrario: in piazza ci sono molte persone che protestano contro l’elezione di Macron, il cosidetto “fronte sociale”. Come convincere anche loro?
“Convincere gli scontenti fa parte del progetto. Anche gli elettori di Le Pen. L’obiettivo di Macron è proprio togliere suolo fertile al populismo, e per questo il dialogo è fondamentale. Relativizzerei sulle proteste, perché a Parigi Macron ha fatto degli scores già dal primo turno incredibili, veramente alti. Nell’undicesimo, nel terzo, nell’ottavo arrondissement era a percentuali imbattibili”.
Macron è accusato di sembrare quasi pilotato, di essere un personaggio messo lì da qualcuno che poi vuole decidere al suo posto. Come si fa a dire il contrario?
“Su Macron si è detto di tutto. Anche che era il candidato dei Rothschild, con accenti di antisemitismo. Gli hanno detto ‘baby Hollande’. All’inizio eravamo, secondo chi criticava, una bolla internet, come se non esistessimo davvero. Assurdo! Abbiamo dovuto combattere tutte le accuse secondo cui sostanzialmente il movimento era fake. Lui ha l’intelligenza di dire: quello che c’è di buono a destra lo prendo, quello che c’è di buono a sinistra lo prendo. La volontà è di progressismo e di pragmatismo. Da quello che ho capito io dall’interno, dopo le legislative, sarà più facile che lui sciolga le camere se non si ritrova gli schieramenti come vuole, piuttosto che fare per cinque anni il burattino”.
A chi ha “rubato” i voti per riuscire ad avere una base di elettorato più allargata e vincere il secondo turno?
“Sono soprattuto voti che vengono dagli elettori di Mélenchon, quindi ha preso più a sinistra che a destra. Sul primo turno abbiamo dei dati molto precisi: Macron ha preso il 50% degli elettori che avevano votato Hollande nel 2012 e il 35% dei voti di Sarkozy, che è tanto. E poi ha preso tutti i voti di François Bayrou, presidente del partito di centro UDF, altro schieramento degli astri fortunato per Macron. Grazie ai voti di Bayrou siamo al primo turno in testa, senza sarebbe stato difficile”.
Il vostro dipartimento si è occupato soprattuto di studi qualitativi: che cosa è venuto fuori e soprattuto come poi siete intervenuti direttamente sulla figura di Macron per permettergli di vincere?
“Ho fatto di tutto per capire perché la base elettorale era così fragile e indecisa. Misuravamo nei sondaggi una percentuale di seduzione molto importante. Tutti confessavano che gli sembrava competente, rassicurante, eccetera. Quindi era un grosso potenziale, ma misuravamo allo stesso tempo che dal “perché no?!” al voto nell’urna perdevamo quasi la metà della nostra base elettorale. Ed è anche uno shock per il candidato, che si vede così alto e non capisce perché. Gli avversari Fillon e Le Pen avevano invece i livelli di conversione di voto molto, molto solidi. Quello che abbiamo fatto è organizzare dei gruppi di persone esitanti e capire nel profondo le ragioni delle loro esitazioni. Cosa non li convinceva dell’immagine, delle parole, del programma. Il mio lavoro è analizzare tutto ciò e far attuare poi dei cambiamenti di conseguenza. Alcuni “freni” non si possono togliere: per esempio uno dei motivi di incertezza era l’età: “è troppo giovane”. Ma sull’età anagrafica non si può davvero intervenire”.
Su cosa invece si può intervenire? E cosa vi ha portati alla vittoria?
“Faccio un esempio che sembra scemo, ma non lo è affatto. Dopo alcuni di questi gruppi nati per studiare le esitazioni, è venuto fuori che una cosa che non piaceva per niente era il sorriso di Macron. Risultava troppo di superiorità e troppo arrogante. Gli abbiamo imposto di non sorridere e ha imparato in fretta. Se ci fate caso durante il dibattito televisivo cruciale, a tre giorni dal ballottaggio, non ha mai sorriso, mentre Marine Le Pen aveva una risata isterica. E per il suo primo discorso al Louvre abbiamo adottato una lunga camminata senza sorriso, senza cenni. Il paese è in difficoltà, non è sicuro, è razzista, è spaccato e per la gente c’è poco da ridere. Questo ha funzionato alla grande e ci ha premiati”.
@veronicadibm