Marine Le Pen è in testa nei sondaggi per le presidenziali che si terranno in Francia il prossimo 23 aprile, davanti a François Fillon, il candidato del centrodestra indebolito dagli scandali, e davanti a una sinistra dal potenziale incerto con Macron. Il 5 febbraio a Lione ha lanciato ufficialmente la sua campagna elettorale, i messaggi e gli interventi in tv sembrano essere stati ricalibrati e ripuliti, ma il Front National resta sempre lo stesso. Perché ha così tanto successo?
L’impopolarità degli altri
Il successo del Front National si può spiegare con i fallimenti del Partito Socialista (PS) in carica e del Partito Repubblicano. François Fillon, una volta il candidato conservatore tutto d’un pezzo, oggi deve rispondere dell’accusa di aver utilizzato un milione di euro di fondi pubblici come compenso per la moglie e i figli; accusa che lo rende un ottimo bersaglio per la retorica di protesta di Marine Le Pen. Nel frattempo, il governo di François Hollande, i cui indici di popolarità sono precipitati al 4%, ha prudentemente fatto in modo che il PS non sia tra i principali partiti al potere in Francia per i prossimi quattro anni. Secondo i sondaggi, nella prima tornata elettorale del 27 aprile, il partito dovrebbe sfiorare appena il numero di voti del Partito Comunista di Jean-Luc Melenchon.
Già a fine 2015 non destava stupore il risultato elettorale del Front National, certamente figlio delle stragi di Parigi ma non solo. Sarebbe riduttivo sostenere che i francesi abbiano votato mossi unicamente dal senso di rivalsa contro gli “aggressori”, gli stranieri o al fine di rivendicare una riaffermazione dei valori nazionalisti, già patrimonio indiscusso non soltanto della Francia gollista ma dell’intera Repubblica. Il successo della Le Pen è da attribuire a ben altri fattori, primo fra tutti il superamento dell’estremismo in cui il partito era imbrigliato al tempo di Jean-Marie: una manovra molto furba in un’epoca storica che necessita sì di certezze e rigide rimodulazioni del comune sentire di appartenenza, ma anche di una reale inclusione sociale nonché del concreto abbattimento di tutti quegli argini che ne impediscono la fattiva realizzazione.
Contro l’establishment, senza essere un’outsider
Marine Le Pen si è proclamata protagonista di un’evoluzione culturale, ha riportato al tavolo delle trattative gli storici valori della Francia nazionalista ma mischiandoli con una Francia “in guerra”, nella società attuale. Ha detto ciò che molti politici hanno preferito non dire contro il politically correct, ha sostenuto battaglie che soltanto all’apparenza sembravano superate, ha affrontato i temi dell’immigrazione e del terrorismo, ha riempito lo spazio che l’attuale azione amministrativa dei suoi avversari ha lasciato scoperto. E se anche ha riesumato i concetti del più puro nazionalismo, l’ha fatto ben consapevole. Consapevole perché Marine Le Pen non è l’ultima arrivata in politica, dal 1998 sa cosa piace ai francesi, muovendo i primi passi dal basso e dal 2004 si muove nel Parlamento Europeo.
Un altro punto di forza del FN è poi la sua collocazione ibrida tra destra e sinistra: cerca di ricalcare le orme della destra storica per ciò che attiene ad alcune tematiche quali la sicurezza e l’immigrazione, mentre si muove sul solco tracciato dalla sinistra più integralista in materia di economia e globalizzazione.
Cosa c’è nei 144 punti del programma targato Le Pen
Questa maggioranza ha già il suo manifesto: 24 pagine con 144 proposte, che ricalcano più o meno quelle del 2012. I rimedi per la crisi del paese che sono citati? Stop all’immigrazione e uscita dall’euro. Poi Frexit, protezionismo ispirato a Donald Trump e controllo alle frontiere (anche con 6000 guardie in più), fino alle nuove politiche familiari per alzare il tasso delle nascite, e la cancellazione delle norme sui matrimoni omosessuali e sulla gravidanza surrogata. E poi accenni alla politica energetica, all’orgoglio francese (ovvero più soldati e meno impegno nella Nato), e soprattutto contro l’Islam.
Strane idee di cittadinanza nel programma, come quella dell’obbligo per le persone di religione ebraica (moltissimi) di rinunciare alla cittadinanza israeliana se vogliono mantenere quella francese. E niente sconti per chi vuole entrare illegalmente nell’Esagono, nella tappa a sud della campagna elettorale, a Mentone, ha ribadito la sua idea di frontiera, prendendosela con l’Italia: “Finché le autorità italiane saranno supine al diktat dell’Unione Europea sarà impossibile eliminare il problema dell’immigrazione clandestina, l’unico mezzo per regolare il fenomeno è un accordo bilaterale fra Italia e la Francia per intercettare le navi dei migranti, metterle in sicurezza e riportarle indietro”.
Per quanto riguarda l’economia, Marine si impegna a “restituire ai francesi i loro soldi” riducendo all’osso le tasse alle classi medie e alle piccole e medie imprese. Paul Smith, uno studioso di società francese dell’Università di Nottingham, ha analizzato i 144 punti che compongono il manifesto elettorale di Marine Le Pen. “Le Pen vuole guidare uno Stato forte, interventista e muscolare e ridurre l’immigrazione praticamente a zero – scrive Smith – Lungo la strada vuole combattere il multiculturalismo e rafforzare la laicità, fino al punto di vietare l’uso di segni di fede religiosa in tutti gli spazi pubblici, come uno degli antidoti per l’islam fondamentalista”.
Chi può reggere il confronto con Marine Le Pen?
Il pronostico che si sente nell’aria in Francia è questo: il 27 aprile al primo turno vinceranno Marine Le Pen e Emmanuel Macron. Si andrà al secondo turno, il 7 maggio, e in quell’occasione di duello Macron riuscirà a riportare le elezioni verso il centro. Ma può essere davvero così? Dall’inizio di febbraio 2017, il movimento di Macron, En Marche!, ha radunato oltre 170.000 membri e raggiunto il 21% nei sondaggi; insomma la direzione è quella definita da Macron una vera e propria “insurrezione politica”.
Nei panni di ministro dell’economia del governo Valls, Macron ha comunque dato la sua approvazione a diverse riforme liberali, come la controversa riforma del lavoro. L’idea alla base del suo pensiero, che mantiene la sua inclinazione socialista, è che la Francia sarebbe in grado di competere molto meglio a livello internazionale se restasse nell’Unione europea. Macron è in grado di difendere la propria posizione in lunghi dibattiti e osa provocare gli altri candidati. Macron non è mai stato eletto finora e, perciò, non ha mai dovuto battersi in una campagna elettorale. Questo potrebbe renderlo particolarmente pericoloso agli occhi di Le Pen, dal momento che il candidato non appartiene al sistema contro cui si batte la il Front National.
Tuttavia, per i consolidati elettori di sinistra, Macron non è ancora in grado di colmare la profonda spaccatura della società francese tra élite politica e popolo. Macron si considera il salvatore della Francia e il leader dell’insurrezione politica contro l’élite. Il nuovo arrivato ha però ricevuto accuse di falsità (si è scoperto di recente che Macron avrebbe speso 120.000 euro per cercare di lanciare la propria campagna mentre era ancora ministro), mentre l’ex capo di governo Valls ha definito il suo movimento “populista lite”.
Le elezioni si avvicinano, il malessere delle persone è reale
I partiti di governo, e non soltanto in Francia, non riescono a far fronte alle esigenze di intere popolazioni nè ai segnali di malessere provenienti dai più diversi territori, impegnati come sono nella ricerca di una politica comune che non soddisfa neanche una parte minima dei cittadini. Ed è lì che le Front National rimette in discussione, nel malessere, anni e anni di conquiste europeiste. L’analisi di questo scenario consegna uno spaccato sconcertante che rischia di espandersi in altri Paesi europei, non tanto per la loro propensione a destra quanto piuttosto per la concreta indifferenza dei governi attuali, in molti casi non più all’altezza dei bisogni dei cittadini della precarietà dei sistemi sociali.