Parliamo di soldi agli italiani che lavorano. Il 6 aprile 2020, il Consiglio dei ministri ha approvato il c.d. decreto liquidità, pubblicato sulla gazzetta ufficiale dell’8 aprile 2020, a firma di ben 20 ministri (D.L 8 aprile 2020, n. 23).
Tale decreto è il secondo importante intervento governativo, sotto il profilo economico e fiscale, nell’ambito dell’emergenza sanitaria da corona-virus.
Tra le misure adottate assume particolare importanza la concessione di garanzie da parte dello Stato, per un totale di circa 200 miliardi di euro, in favore di banche che effettuino finanziamenti alle imprese sotto qualsiasi forma. In altri termini, lo Stato garantisce le Banche che erogano i fondi alle imprese.
Difatti, il sostegno finanziario alle imprese – costrette a sospendere la propria attività – rappresenta, nel breve termine, il principale aspetto critico che deve essere affrontato e risolto per assicurare l’esistenza del settore industriale e commerciale italiano durante il periodo dell’emergenza sanitaria e quello successivo.
In tale contesto, il decreto liquidità introduce la possibilità per le imprese, a seconda delle dimensioni ed al verificarsi di una serie di condizioni (tra le quali la destinazione del finanziamento ad attività produttive localizzate in Italia) di accedere a finanziamenti garantiti in misura pari ad una percentuale compresa tra il 70% e il 90% del loro fabbisogno finanziario.
Cioè, sulla base delle dimensioni e del fatturato, le imprese otterrebbero finanziamenti garantiti.
Le pur positive intenzioni del governo, tuttavia, si scontrano con l’ostacolo dei tempi burocratici necessari all’erogazione dei finanziamenti, tali da pregiudicare, se non addirittura annullare, le finalità perseguite dal provvedimento.
La crisi è infatti così grave e generalizzata, da poter portare al fallimento delle imprese in tempi brevissimi.
Il governo svizzero ha invece previsto, per le imprese che richiedono i finanziamenti, la “semplice” compilazione di un modulo – nel quale certificare i requisiti necessari all’erogazione dei finanziamenti garantiti ottenendo l’accredito del denaro in poco più di 24 ore.
Basterebbe copiare questo sistema.
Tuttavia, è l’intera prospettiva del provvedimento ad essere inadatta a consentire gli effetti perseguiti, posto che le aziende hanno sì bisogno di liquidità ma soprattutto hanno bisogno di fatturato, cioè di ricavi.
Da qui un’idea diversa, che potrebbe migliorare di molto la situazione delle piccole e medie imprese, per le quali viene attualmente stanziato un importo nell’insieme insufficiente, di appena 30 mld. di euro. Ulteriore conferma, questa, dell’incapacità dei nostri governanti di capire la gravità e profondità della crisi, soprattutto in capo ai piccoli operatori economici.
Anziché finanziamenti, si potrebbe ipotizzare che, sempre sulla base di autocertificazioni, le banche eroghino (magari su richiesta dell’interessato in alternativa al credito) contributi a fondo perduto per un ammontare integralmente garantito dallo Stato, contributi che come tali sarebbero tassabili in capo ai richiedenti, per importi uguali ai ricavi non realizzati sul mercato in un determinato periodo di tempo, ferma restando la previsione di una sanzione ammi_nistrativa per le false dichiarazioni sulle condizioni di ammissibilità. In altri termini, lo Stato si fida di quanto dichiarato dall’impresa e gli dona del denaro in sostituzione dei ricavi ordinari. È infatti la fiducia nel cittadino il presupposto fondamentale da cui partire, per rinnovare quel “contratto sociale” che qualificherebbe i nuovi rapporti dello Stato col cittadino, se davvero vogliamo concepire un nuovo umanesimo, con lo Stato non più tiranno com’è ora, ma “amico”.
Un profilo che merita una riflessione è collegato alla previsione (art. 6), secondo cui, per l’anno 2020, non si applicherebbero le disposizioni del codice civile in tema di perdite sul capitale, quelle norme, cioè, che obbligano i soci a mettere soldi nelle società in caso di perdita. Come dire, la cura non è adatta alla malattia.
La mia idea sarebbe questa: se fosse introdotta una disposizione di rivalutazione dei beni dell’impresa con la quale iscrivere nei bilanci una importante riserva di rivalutazione sui beni stessi – magari calcolata sul differenziale di cambio lira-euro a suo tempo applicato, rispetto al cambio del marco tedesco – ciò consentirebbe di fare fronte ai risultati negativi del 2020, rafforzando la capacità di resistenza delle stesse imprese; magari consentendo di riaprire i termini di approvazione dei bilanci 2019.
In altri termini, le perdite dei bilanci che emergessero sul 2020 sarebbero coperte da tale riserva di rivalutazione senza obblighi per i soci di versare ulteriori denari nell’impresa.
Cari amici, i miei migliori auguri per la S. Pasqua e grazie per l’attenzione.