Premessa doverosa: lo Stato non è come un’azienda o come una famiglia e quindi come tali non può essere gestito. Ma nel momento in cui si finanzia in valuta estera (e quindi al di fuori del suo controllo) deve necessariamente sottostare ad equilibri di bilancio in tutto e per tutto simili a quelli delle imprese e dei consumatori che non hanno il privilegio del monopolio nell’emissione della valuta e che quindi devono necessariamente procurarsi quest’ultima (guadagnandola e prendendola a prestito) prima di utilizzarla.
Terminata l’introduzione abbiamo tutti gli strumenti per comprendere in cosa veramente consista la crisi della Turchia che turba risparmiatori ed investitori di tutto il mondo. Liquidiamo come semplici stupidaggini tutti gli accostamenti che politici ed osservatori nostrani hanno voluto avanzare in queste ore accostando la crisi di Ankara a ciò che potrebbe accadere in Italia qualora ci riappropriassimo della nostra sovranità monetaria. Al di là del condividere con la Turchia il nome della nostra precedente moneta tutte le similitudini finiscono qui.
Quella della Turchia è la tipica crisi di un paese emergente che si è finanziato in valuta estera. Principalmente euro o dollari. Il perché un paese in via di sviluppo sia costretto a finanziarsi in moneta estera è abbastanza facile da capire. Anche volendo intraprendere un poderoso programma di investimenti pubblici per dotare la propria economia di tutte le necessarie infrastrutture (strade, porti, aeroporti, ferrovie, scuole, ospedali ecc), il paese emergente dovrà necessariamente rivolgersi ad imprese soprattutto straniere. Se infatti avesse un tessuto produttivo e manifatturiero capace di soddisfare queste esigenze il paese in questione non sarebbe più emergente per definizione e potrebbe quindi pagare le imprese appaltatrici con la valuta nazionale