Abbiamo visto la nuova amministrazione Usa scagliarsi contro Berlino per il fatto di avere una valuta (europea) – facente funzioni di pseudo marco – artificiosamente sottovalutata grazie alla presenza dei periferici nella compagine. Di più, si è circostanziato il problema aggiungendo che tale comportamento predatorio va contro gli interessi sia di Washington che degli stessi Paesi membri dell’Ue, di cui Berlino approfitta per propri interessi.
Difficile dissentire: da una parte la Germania ha un surplus commerciale che eccede i limiti di Maastricht da anni, dimostrando nei fatti la benedizione dell’euro sui conti tedeschi, pur senza sanzionarlo (il Wto lo farebbe negando eventuali ricorsi a dazi contro i prodotti/profitti germanici). Dall’altra gli Usa subiscono commercialmente la competitività tedesca verso i prodotti a stelle e strisce. In tutto questo è innegabile che i paesi periferici – ed in particolare il maggior competitor manifatturiero di Berlino, l’Italia – siano l’agnello sacrificale in quanto l’austerità deprimendo i consumi e la crescita ai margini dell’Ue non scalfisce la forza economica teutonica che anzi se ne avvantaggia facendo così deprezzare la percezione economica della moneta unica, quale valuta aggregata dell’area euro e dunque gonfiando le sue esportazioni soprattutto verso Gran Bretagna, Cina, Usa e mercati emergenti, di norma legati al dollaro (le esportazioni di Berlino vanno soprattutto verso i paesi diciamo benestanti o in forte crescita).
Stupisce dunque la risposta della Cancelliera tedesca alle critiche mosse: in pratica ha smentito pubblicamente sé stessa e soprattutto il suo ministro delle Finanze, Schauble, affermando che Berlino non influenza la Bce. Basta una ricerca in google scrivendo in italiano o inglese “Germania Merkel critica Draghi” e vedete cosa vi salta fuori. Tutti sappiamo che non passa settimana che Berlino tenti o per vie politiche o per vie funzionali (Weidmann, Bundesbank), sempre comunque con forte eco mediatico, di interferire con le decisioni del filo anglosassone Draghi. La cosa che invece spaventa è la pubblica negazione della realtà (anche e soprattutto per via mediatica) da parte della Cancelliera, atteggiamento che in passato ha celato progetti poi sfociati in vere e proprie tragedie, purtroppo una costante ciclica nella storia teutonica.
Ma la vera essenza del problema è il più profonda e foriera di sviluppi: semplicemente Berlino punta a sostituirsi a Washington al comando dell’Europa. Questa tendenza è dimostrata dalle aperte critiche dal prossimo Presidente della Repubblica tedesco, Steinmeier, contro il dirigismo Usa in Ucraina, dal rinsaldarsi dell’asse franco-tedesco in veste anche e soprattutto strategico-militare, dalla pubblica volontà di Berlino di espandere le proprie capacità militari in nome e per conto dell’Europa.
In tale contesto è inevitabile che gli Usa si oppongano. E non solo loro, anche la Russia una volta raggiunta la pace negli scenari di guerra ancora aperti, avrà più di una remora a fidarsi di un vicino così potente ed ingombrante oltre che poco trasparente.
Le contromisure di Washington sono oggi le critiche aperte su questioni economiche a cui seguirà il deprezzamento annunciato del dollaro. Se questo non dovesse bastare, ovvero se l’asse franco-tedesco non dovesse cedere, si arriverebbe al confronto aperto. Un primo segnale lo abbiamo avuto dallo scandalo sul candidato presidente del centrodestra francese Fillon, bruciato forse per lasciare spazio ad un ferreo alleato tedesco, (occhio a Sarkozy): tale operazione di discredito è chiaramente Made in Ue, guarda caso la testata che ha fatto lo “scoop” è legatissima ai servizi segreti d’oltralpe.
In caso la contrapposizione Ue-Usa si facesse conclamata, oltre a dazi e svalutazioni dovremmo aspettarci progressive destabilizzazioni interne all’Europa, fino a paventare cambi di governo inattesi come fu per H. Kohl o magari la vittoria di Marine Le Pen grazie al reperimento di finanziamenti per la sua campagna elettorale. L’Italia in tale contesto non potrebbe che stare con gli Usa.
Non oso pensare ad un attentato al presidente Trump come suggerito pubblicamente da un eminente membro dell’establishment tedesco (l’editore e redattore di Die Zeit, l’iconica testata dell’intelligenzia tedesca), in tale caso Berlino sarebbe il primo sospettato con conseguenze imponderabili.